Studenti tibetani in piazza contro l’abolizione della loro lingua a scuola
di Nirmala Carvalho
In modo progressivo, Pechino introduce il cinese come madre lingua nelle scuole tibetane. La lingua tibetana è sempre più emarginata come pure lo sono i tibetani sul lavoro. Attivisti: è un lento inesorabile genocidio culturale.

Dharamsala (AsiaNews) – Tra 7 e 9mila studenti tibetani sono scesi in piazza ieri mattina alle 7, nella città di Rongwo, contea di Rebkong (in cinese: Tongren), nella prefettura di Malho (Huangnan) nel Qinghai, per protestare contro l’abolizione della lingua tibetana nell’insegnamento e nei loro testi scolastici, sostituita dal cinese. Un attivista tibetano parla ad AsiaNews del sistematico genocidio di Pechino contro le decine di minoranze etniche del Paese.

Gli studenti (nella foto) sono andati di scuola in scuola a Rebkong, raccogliendo sempre più manifestanti, cantando slogan e mostrando striscioni con scritto “Eguaglianza tra le nazionalità” e “Espandi l’uso della lingua tibetana”. Si sono uniti alla protesta i monaci del vicino monastero di Rebkong Rongpo.

I manifestanti sono andati davanti al palazzo del governi di Rebkong, dove hanno protestato fino alle ore 14 circa. La polizia ha osservato senza intervenire.

La protesta è esplosa dopo che le autorità hanno deciso che nella zona il linguaggio delle lezioni e i libri di testo devono essere in cinese, a parte ovviamente le lezioni di lingue. Simili riforme sono state già applicate in altre zone tibetane, comprese le scuole elementari, e la lingua tibetana viene emarginata in modo sistematico e progressivo.

Un insegnate di scuola media a Rebkong dice che “queste riforme mi ricordano la Rivoluzione Culturale. Questa riforma non solo minaccia la nostra lingua-madre, ma viola la Costituzione cinese che riconosce tutela ai nostri diritti [come minoranza]. Per i tibetani, non si applica la Costituzione cinese”.

Inoltre la riforma significa licenziamento e disoccupazione per molti insegnanti tibetani, sostituiti da altri di lingua cinese.

Urgen Tenzin, direttore esecutivo del Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia, spiega ad AsiaNews che “la Cina ha 55 minoranze etniche, tra cui i tibetani. Non tutte le minoranze sono minacciate allo stesso modo, c’è una rigida discriminazione per il linguaggio. Di recente gli studenti hanno domandato libertà per il linguaggio e la letteratura, ma la Cina ha aumentato gli arresti arbitrari e la carcerazione di intellettuali tibetani. La discriminazione parte dall’insegnamento e porta a gravi conseguenze nella scelta dei lavoratori, con diffusa disoccupazione [per chi parla tibetano]. L’uso della lingua cinese nelle scuole elementari già è una barriera per molti bambini tibetani, specie per le bambine delle zone rurali. In Tibet solo il 17% dei bambini frequenta scuole che insegnano in tibetano. L’uso del cinese, linguaggio ‘straniero’ per gli studenti tibetani, serve anche a dare più rilievo alla cultura cinese a danno di quella tibetana”.