Wei Jingsheng: “Il Plenum del Partito non risolve i problemi della Cina”
di Wei Jingsheng
Il grande dissidente analizza la sessione plenaria del Partito comunista, che di fatto non ha raggiunto alcun risultato se non quello di sancire la successione al potere. Mentre la riforma politica e quella economica, fattori che mettono a rischio la Cina e il mondo intero, non hanno trovato una soluzione.

Washington (AsiaNews) - La V Sessione plenaria della Commissione centrale del Partito comunista cinese, che si è appena conclusa, ha ottenuto enorme attenzione dai media nazionali e internazionali. Questa si spiega perché, oltre al tradizionale piano quinquennale, sono stati discussi tre argomenti molto difficili e di grande interesse per tutti noi. Il primo argomento è quello della successione. In un sistema autoritario, una questione del genere assume molta più importanza per il popolo rispetto a quella che provoca l’elezione di midterm per gli americani. Questo perché, in un sistema democratico come quello statunitense, le politiche di base dello Stato non cambiano molto se cambiano i deputati o il presidente. Quelle politiche più efficaci, che caratterizzano la nazione, rimangono come sono. E questo perché tutte le politiche messe in atto traggono la propria giustificazione giuridica dal Congresso. Il presidente e il suo governo propongono le leggi, ma non le fanno. Quindi i cambiamenti di questa nazione seguono un’orbita più morbida, non fanno su e giù in maniera brusca.

La situazione della Cina è molto diversa. Persino la gente comune è molto preoccupata per la politica. Perché? Perché l’esperienza storica ci insegna che è un piccolo numero di persone che decide politiche e leggi. Un nuovo dirigente, per affermarsi, dà fuoco a tre grandi pire: e queste, il più delle volte, finiscono con il bruciare gli interessi della popolazione. Gli ideali dei singoli cittadini poveri differiscono molto poco fra di loro, mentre la politica cambia così tanto che è difficile seguirne le evoluzioni. Allo stesso modo, sempre più occidentali fanno affari con i cinesi: ed ecco perché anche loro sono interessati ai cambiamenti della leadership del regime comunista.

La seconda questione inusuale in discussione è l’eco di una riforma politica. Nei due mesi precedenti all’incontro, il premier Wen Jiabao e un gran numero di media hanno parlato di una riforma politica su larga scala: hanno fatto talmente tanto rumore che l’hanno fatta sembrare reale. Tanto che qualche miope ha iniziato a ballare per la gioia, eccitato come uno stolto. Questi hanno pensato che fosse arrivato il momento di interagire con il Partito “a cuore aperto”, e che quei lupi con intenti criminali fossero finalmente divenuti vegetariani.

La terza questione è ancora più difficile: riguarda l’enorme deficit commerciale che gli Stati Uniti hanno nei confronti della Cina e che ha colpito l’intera ripresa economica mondiale. Gli Stati Uniti e l’Europa non devono più essere costretti ad aspettare per vedere soddisfatta la loro richiesta di una riforma valutaria. La strategia di sviluppo economico cinese è a un bivio, ma i leader comunisti si sono confrontati senza un chiaro risultato finale. E questa è la questione che preoccupa di più la comunità internazionale.

La questione della successione si è risolta in maniera morbida, fra la sorpresa generale. In un primo momento, infatti, questa sembrava una diatriba di difficile risoluzione, dato che c’erano due fazioni in gara che non volevano farsi da parte. Secondo la pratica comune, tutto si sarebbe dovuto decidere lo scorso anno: eppure si rischiava di finire in una battaglia aperta. Quindi nessuno si aspettava una soluzione così morbida; in effetti, è l’unica cosa che si è risolta.

Dietro questa soluzione c’è un dato semplice: sia la cricca di Hu Jintao che quella di Wen Jiabao sono gravate dagli altri problemi, la riforma politica e la questione economica. In questi due ambiti sono tutte e due di minoranza dentro il Partito, e quindi hanno bisogno di alleati. Inoltre, nessuno voleva vedere una guerra fratricida. Quindi Xi Jinping è riuscito comodamente a ottenere il ruolo di successore. Questo avviene spesso in politica: quando i due contendenti litigano, il terzo gode. Sono le altre due questioni che non si sono risolte.

La riforma politica è un problema serio, anche perché il regime comunista è al momento in una posizione precaria. Questo è un fatto che molte persone possono vedere: ma le risposte a questo fatto non sono uguali. Ricordo, qualche anno fa, un gruppo di intellettuali che contestava la “politica della folla” su larga scala e che denunciava la resistenza popolare, che diveniva sempre più forte. Questi intellettuali cercavano di convincere e guidare l’opinione pubblica verso la repressione di questo tipo di resistenza. Tuttavia, non hanno avuto molto successo.

Essenzialmente il loro messaggio era “pace, razionalità e non violenza”, in un tentativo di “interagire positivamente” con il regime comunista. Ma le persone costrette in un angolo, senza possibilità di scelta, non hanno accettato questa teoria. Quando in gioco c’è la sopravvivenza stessa della popolazione, con la posizione del Partito estremamente chiara sull’argomento, non si può prendere in giro in questo modo la gente. Ecco perché coloro che, all’interno della dirigenza, hanno una visione chiara della situazione sanno bene che – se non si trasforma la società cinese in una democrazia di tipo occidentale – è impossibile risolvere i problemi del Paese. Nel caos, sarebbe proprio la classe dirigente a cadere come prima vittima della rabbia popolare.

Invece di diventare le vittime di una rivoluzione, è meglio percorrere la strada della riforma, seguendo un sistema legale che consenta un’evoluzione di tipo pacifico: questa strada salverebbe le vite e i beni di queste persone. Questo pensiero ha convinto un numero di persone di successo nel campo dell’economia, della politica e della cultura a unirsi in un gruppo – la “fazione riformista” – all’interno del Partito comunista cinese. La loro motivazione è chiara: per salvare proprietà e reputazione da una evoluzione mortale resta soltanto una riforma politica.

Tuttavia, queste persone non sono quelle principali nella burocrazia interna. Gli attuali dirigenti in carica e i loro parenti, quelli che non hanno fatto abbastanza denaro, pensano che la popolazione non lascerà andare via i leader comunisti senza vendicarsi. Questo settore ha la maggioranza assoluta sia nei numeri che nella gestione del potere. Hu Jintao è il loro capo, e il successore Xi Jinping farà del suo meglio per calcarne le orme. Quindi, anche se i riformisti hanno l’appoggio della popolazione e dell’opinione pubblica, non possono cambiare la situazione. La loro debolezza dimostra inoltre che non saranno mai la maggioranza.

Infine c’è l’ultima delle questioni importanti, la riforma del sistema economia. Il Partito dovrebbe continuare a ferire il popolo cinese, e a mettere in pericolo l’economia mondiale, tramite il cosiddetto “modello cinese”? O non dovrebbe la Cina muovere verso un’economia di mercato reale e corretta? Questo dibattito nasce dal tentativo occidentale di costringere Pechino a rivalutare con la forza lo yuan. Su questo tema, i riformisti e i conservatori la pensano allo stesso modo, perché entrambi hanno interessi coperti soltanto dal sistema vigente.

In altre parole, l’attuale e squilibrato sistema è la condizione basilare che gli permette di ottenere benefici economici. Insieme ai capitalisti occidentali, si oppongono con forza alla rivalutazione dello yuan, a un corretto commercio internazionale e alla riforma del cosiddetto “modello cinese”. Si oppongono alla creazione di un vero mercato interno di consumatori cinesi. Soltanto questo modello e la tirannia politica gli garantiscono di continuare a fare soldi. Negli Stati Uniti tutti vogliono imporre sanzioni alla scorretta posizione cinese: soltanto la Camera di commercio americana si oppone: proteggono Pechino per continuare a ottenere profitti eccessivi.

Eppure, all’interno del Partito c’è una fazione molto potente che promuove la riforma economica. Alcuni dei membri di questa fazione sono preoccupati per la vita dei cittadini; altri temono l’insostenibilità di questo sviluppo economico; altri ancora si chiedono se il regime potrà salvarsi se continua su questa strada. Dopo tutto, avere contro il mondo intero e la propria popolazione viola un tabù che gli strateghi militari impongono da sempre. Violare questo tabù porterà un fato oscuro.

Non importa da quale punto di vista la si guardi: la riforma di questo sistema economico irrazionale deve esserci. È in questo punto che si incontrano gli interessi della popolazione, ed è sempre qui che si gioca la ripresa economica globale. I trend mondiali sono difficili da fermare, e l’alleanza fra i cinesi e i capitalisti stranieri, alla fine, non funzionerà più.