Giappone e Corea, le sfide della vita consacrata

Roma (AsiaNews) – "Mi ha molto colpito l'unità fra i partecipanti, al di là delle differenze di provenienza e di carismi, nella ricerca di nuove strade per il futuro. Tutti sentiamo di vivere in un tempo di crisi, ma non ci facciamo prendere dallo sconforto. Il desiderio comune è di dare più spazio alle iniziative profetiche, di liberarci da strutture troppo rigide per essere sempre più liberi di servire dove ci chiama lo Spirito". Padre Alberto Di Bello, superiore provinciale del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) in Giappone, al congresso internazionale dei religiosi e religiose sulla vita consacrata, rappresenta, insieme con una suora locale, la Conferenza nipponica dei religiosi. I 5 giorni del Congresso, che hanno visto radunarsi 850 tra religiose e religiosi di tutto il mondo, si chiudono oggi a Roma.

Ad Asia News p. Di Bello affida le sue impressioni. "Tornando in Giappone, porto con me il richiamo ad una maggiore docilità allo Spirito. La nostra è una Chiesa abituata a programmare meticolosamente, fino all'eccesso, a tenere tutto sotto controllo. Da questo incontro emerge il richiamo a lasciarsi interrogare, a osare strade nuove. Meno organizzazione, più fantasia". Senza abbandonarsi ai personalismi. "In Giappone, semmai, una delle sfide per le religiose e i religiosi, consiste nel collaborare strettamente con i vescovi, in vista di una testimonianza più efficace. Dal momento che la gerarchia è tutta locale, se davvero vogliamo una vita religiosa sempre più inculturata occorre interagire con essa e con tutta la Chiesa locale".

Suor Veronica Mi Kyung Song è una giovane religiosa della Corea del Sud, della congregazione delle Figlie di San Paolo. "Il punto decisivo per un rinnovamento della vita religiosa - dichiara - è ripartire da Cristo come la fonte di acqua viva. Solo così possiamo farci carico della sete dell'umanità". La vita religiosa "parla" ancora? "Sì, lo vedo ad esempio in Corea. Da noi i cristiani sono una minoranza, tuttavia la consacrazione religiosa è percepita come un valore. La gente in Corea ha molto rispetto per i consacrati perché capisce che la nostra testimonianza rimanda a un "oltre". Anche nel cuore di chi non crede in Cristo sta la domanda, il desiderio di conoscere cosa c'è dopo questa vita… Ma il nostro messaggio diventa significativo nella misura in cui esprimiamo la nostra "diversità" rispetto al mondo. Il problema è che anche da noi, in Corea, la vita religiosa, anche per effetto della globalizzazione, è minacciata dai valori mondani, che fanno perdere di vista ciò che fonda la nostra identità. Il dialogo con il mondo, l'apertura agli altri non debbono portarci a mettere tra parentesi il nostro specifico". (GF)