La nuova eruzione del Merapi non ferma i cattolici nell’aiuto agli sfollati
di Mathias Hariyadi
La quarta esplosione del vulcano ha ucciso nella notte 49 persone. Gli sfollati sono oltre 75mila. Nonostante la pioggia di cenere e lapilli, religiosi e laici dell’arcidiocesi di Samarang hanno realizzato un ambulatorio e una mensa nelle aree a più alto rischio per portare soccorso alla popolazione.

Jakarta (AsiaNews) – Sale a 100 morti e 66 ustionati il bilancio dell’eruzione del Monte Merapi (Central Java). Nella notte una nuova eruzione del vulcano ha provocato la morte di altre 49 persone che si aggiungono alle 38 vittime rimaste uccise nella prima esplosione dello scorso 26 ottobre.

Pioggia e lapilli hanno colpito Yogyakarta, Klaten, Sleman e Magelang, ridotte a ormai a città fantasma. Al momento sono oltre 75mila gli sfollati e le autorità hanno esteso l’area ad alto rischio a 20 km dal cratere.

Nonostante la pioggia di cenere e lapilli, religiosi e laici dell’arcidiocesi di Samarang hanno deciso di restare nelle aree a più alto rischio per portare soccorso alla popolazione, ospitando gli sfollati in chiese, scuole e istituti religiosi.   

Suor Teresa Wiji Kartini, delle Figlie di Gesù Cristo, afferma: “Insieme a decine di volontari siamo impegnati a fornire cibo e un rifugio temporaneo ai rifugiati.  Stare con questa gente è la chiamata di Dio a proclamare il Suo amore”. La decisione di restare è stata presa dopo l’evacuazione di un orfanotrofio dell’ordine posto a soli 8 km dal vulcano. La necessità di portare aiuto ai bambini e alle religiose ha spinto  alcuni laici cattolici a creare un ambulatorio a Srumbung, villaggio posto a soli 7 km dal vulcano, per soccorrere anche gli altri residenti. Ora l’area è stata completamente evacuata.

Andry Hartono, del Catholic Panti Rapih Hospital di Yogyakarta e responsabile dell’ambulatorio racconta che sono migliaia le persone rimaste bloccate alle pendici del vulcano e che giacciono in rifugi di fortuna.

“La gente – afferma - è sotto shock e non ha più speranza. Quando ho provato a parlare con loro, non mi hanno neanche risposto”. Vedendo la condizione di queste persone il medico ha deciso insieme alle suore di istituire oltre all’ambulatorio anche un luogo dove poter assistere anche umanamente questa gente e sfamarla.

"Nel fare questo – continua – sono stato aiutato da una donna cattolica che ha offerto la sua casa come rifugio e ci ha consentito di ospitare e fornire il pranzo a 600 persone affamate e disperate”. Hartono dice che a questa piccola opera stanno contribuendo, materialmente e moralmente tutti i cattolici dell’arcidiocesi.