Giunta birmana: carcere per chi denuncia brogli. Un "avvertimento" ad Aung San Suu Kyi
Commissione elettorale: chi avanza "false" accuse sulle elezioni del 7 novembre, subirà fino a tre anni di galera e multe di migliaia di euro. Una minaccia diretta alla leader dell'opposizione, che ha promesso indagini sul voto. Presentato un ricorso all'Alta corte per ricostituire la Lega nazionale per la democrazia.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) - Non saranno tollerate proteste, ricorsi o denunce di brogli in merito alle elezioni parlamentari del 7 novembre scorso, le prime in 20 anni per il Myanmar. È quanto ha annunciato la giunta militare birmana, con un "avvertimento" che sembra rivolto in prima persona ad Aung San Suu Kyi, liberata il 13 novembre scorso dopo sette anni trascorsi agli arresti domiciliari. La leader dell'opposizione ha infatti annunciato di voler indagare su modalità e conta dei voti, in seguito a possibili irregolarità volte a favorire i partiti vicini al regime. 

Per Aung San Suu Kyi, 65enne, che ha trascorso 15 degli ultimi 21 anni agli arresti, si profila un compito non facile: deve riuscire a bilanciare le aspettative di quanti la considerano un'icona nella lotta per la democrazia in Myanmar con la realtà del Paese, le minacce della giunta militare che potrebbe con qualsiasi pretesto confinarla di nuovo ai domiciliari. Intanto la "Signora" ha depositato una dichiarazione scritta presso l'Alta corte, perché il suo partito venga riportato alla piena legalità. Nei mesi scorsi Lega nazionale per la democrazia (Nld) non ha voluto procedere alle operazioni di registrazione in vista del voto del 7 novembre; la Commissione elettorale lo ha dichiarato illegale, estromettendolo dallo scenario politico del Paese.

Intanto i vertici della Commissione hanno avvertito i partiti birmani che chiunque avanzerà "false" accuse di brogli, subirà una dura punizione. I risultati ufficiali delle elezioni parlamentari non sono ancora stati diffusi, ma i primi dati confermano la schiacciante vittoria - sulla quale gravano accuse di brogli - dello Union Solidarity and Development Party (Usdp), movimento vicino alla giunta militare birmana, in entrambi i rami del Parlamento. La punizione per quanti oseranno protestare è la galera fino a tre anni e/o una multa di 300mila kyats (circa 300 euro).

Il giorno successivo la sua liberazione, Aung San Suu Kyi ha promesso a migliaia di sostenitori accorsi per salutarla che avrebbe continuato la battaglia per la democrazia e i diritti umani in Myanmar. Nella conferenza stampa ha inoltre parlato più di riconciliazione che di giustizia. La donna ha anche affermato di volere un colloquio con il generalissimo Than Shwe, leader della giunta militare, col quale non parla dal 2002.

Ma la lotta politica della Nobel per la pace non riguarda solo lo svolgimento delle elezioni del 7 novembre scorso. Essa si allarga anche alla questione dei prigionieri politici - circa 2100 ancora oggi rinchiusi nelle carceri del Paese - e delle minoranze etniche. Aung San Suu Kyi ha in programma una serie di colloqui con i vertici delle minoranze (Kachin, Karen, Shan, e altri) per dare un nuovo impulso all'accordo di Panglong (promosso nel 1947 da Aung San, all'indomani dell'indipendenza della Birmania). L'obiettivo è dar vita a un Panglong 2 che definisca l'autonomia delle varie etnie, in un quadro di unità della nazione birmana.