Il Dalai Lama conferma: “In pensione, da politico, entro 6 mesi”
Il leader del buddismo tibetano “giallo” non può andare in pensione; può invece ritirarsi gradualmente dalla vita politica. Un processo, per la verità, iniziato nei primi mesi del 2001: da allora è il Parlamento tibetano in esilio a decidere sulle politiche regionali.

Dharamsala (AsiaNews) – Il Dalai Lama, guida spirituale del buddismo tibetano, potrebbe andare in pensione dalla sua vita politica nei prossimi sei mesi. Lo ha ripetuto oggi, ancora una volta, un suo portavoce; ma era stato lo stesso leader ad annunciarlo, due giorni fa, nel corso di un’intervista a una televisione indiana.

Settantasei anni, fuggito nel 1959 dal Tibet occupato dai cinesi, il dio-re dei tibetani vorrebbe andare in pensione per poter tornare, da privato cittadino, nella sua patria: il desiderio del XIV Dalai Lama è infatti quello di morire sul “tetto del mondo”, anche se è difficile immaginare che il governo cinese potrà concedergli questa libertà.

In ogni caso Lhamo Dondrub – questo il nome “laico” della guida spirituale – ha spiegato una volta di più che le decisioni in campo politico per tutto quello che riguarda il Tibet è nelle mani del Parlamento in esilio a Dharamsala, nel nord dell’India. È dal 2001 che il Nobel per la pace non interviene più nelle decisioni del governo: “Da allora la mia posizione è quella di semi-pensionato. Le decisioni cruciali sono prese dalla leadership politica. Per rispettare i principi della democrazia, ritengo sia meglio non intromettermi in quel genere di scelte”.

Alla domanda se la figura del Dalai Lama sarebbe scomparsa con la sua morte, ha risposto: “Se dovessi morire entro pochi anni, è molto probabile che i popoli interessati, dalla Mongolia alle terre buddhiste del Himalaya, vogliano mantenerla”. Parole che non sono piaciute alla Cina, che anni fa ha fatto sparire Gedhun Choekyi - il Panchen Lama (seconda figura spirituale del buddismo tibetano) nominato dal governo in esilio – sostituendolo con uno scelto da Pechino. La speranza cinese è di riuscire a fare lo stesso con il Dalai Lama.

Per evitare problemi di questo tipo, il leader buddista avanza anche l’ipotesi di un vice:“Se la gente vuole davvero mantenere viva questa istituzione, all’approssimarsi della mia dipartita o nel caso di decrepitezza, si potrebbe nominare un vice. Non so come si potrebbe chiamare questo incarico, ma qualcuno insomma che porti avanti il mio lavoro”. Proprio per i problemi con i cinesi sarà difficile che il successore possa (ri)nascere in Tibet: “Se la mia morte avverrà mentre sono ancora in esilio, allora logicamente la prossima reincarnazione sarà tra la comunità della diaspora per riprendere le fila del mio lavoro”.