Dushanbe cede alla Cina le terre agricole
L’1% del territorio ceduto alla pacifica invasione dei contadini cinesi. Il governo dice che la mano d’opera è scarsa, per i molti tagiki che vanno a lavorare all’estero, e che i cinesi introdurranno migliori tecnologie utili per tutti. Ma cresce il malcontento della popolazione che scarseggia pure di cibo.

Dushanbe (AsiaNews/Agenzie) – Circa 1.100 chilometri quadrati di terra tagika (intorno all’1% del Paese) sono stati ceduti alla Cina per fini agricoli. Intanto centinaia di contadini cinesi dello Xinjiang stanno arrivando per coltivare riso e cotone nei distretti di Kumsangir e di Bokhtar, provincia di Khatlon, ma incontrano l’ostilità della popolazione.

La gente protesta che la terra dovrebbe essere data ai tagiki poveri, per coltivarla, piuttosto che ceduta a contadini stranieri. Osserva che il 93% del Paese è montuoso e solo parte del restante territorio è coltivabile. Riso e cotone sono in  gran parte esportati, per consentire al governo di avere pregiata valuta estera e coprire la voragine del debito pubblico. Il cibo spesso è scarso e ora agricoltori esteri prenderanno i frutti del suolo.

Il governo risponde che le terre del confine orientale con la Cina sono montagnose e poco popolate, senza terre agricole, minerali o altre risorse. E’ però un fatto che l’accordo con Pechino è stato assai poco pubblicizzato ed è arrivato quasi a sorpresa per la popolazione. Non è nemmeno chiaro cosa Pechino darà in cambio.

E’ vero che centinaia di migliaia di lavoratori tagiki emigrano ogni anno all’estero, soprattutto in Russia, per molti mesi o per sempre. Per questo la forza-lavoro agricola scarseggia.

Tilomurod Daniyarov, del Dipartimento Affari Internazionali del ministero dell’Agricoltura, spiega all’agenzia Radio Free Europe che i cinesi hanno promesso di introdurre avanzati metodi di irrigazione e altre tecniche moderne e di condividere la loro esperienza e tecnologie con gli agricoltori locali.

Ma esperti ammoniscono che Pechino potrebbe perseguire una vera politica di pacifica “occupazione”.

Il sociologo Rustam Haidarov parla di una vera “strategia cinese di mandare la sua popolazione in altri Paesi. Li occupano in modo lento, con cautela. Poi propugnano propri obiettivi e influiscono sulla nostra politica economica. Col tempo, avranno un influsso sulla politica”.

La Cina ha investito circa 4 miliardi di dollari nel Tagikistan negli ultimi anni, realizzando opere edili e infrastrutture, ma utilizza propria forza lavoro e i vantaggi per i lavoratori locali sono scarsi. Secondo cifre ufficiali, nel 2007 c’erano circa 30mila operai cinesi in Tagikistan, diventati 82mila nel 2010, soprattutto occupati nella costruzione di strade, strutture elettriche e nelle miniere.

Molti migranti cinesi sono commercianti, alcuni si sono stabiliti in modo duraturo, spesso vendono merci cinesi più economiche di quelle locali. Molti commercianti tagiki non reggono questa competizione, sono messi fuori dal mercato e possono solo andare a lavorare come migranti in Russia.

Anche il presidente del Kazakistan stava concludendo un accordo simile per far venire nel Paese contadini cinesi, alla fine del 2009. Ma lo scontento popolare fu tale da fargli presto lasciare il progetto.