Il Karmapa Lama: La verità verrà a galla, l’inchiesta non ci preoccupa
di Nirmala Carvalho
Migliaia di persone marciano a sostegno della terza carica spirituale del buddismo tibetano, che secondo alcuni “è una spia di Pechino”. Il deciso sostegno della popolazione e del governo in esilio dopo il raid che ha trovato dei soldi cinesi nel monastero dove vive.
Dharamsala (AsiaNews) – Nonostante lo scandalo che ha colpito il proprio monastero, il Karmapa Lama “è tranquillo, calmo e sereno. Incoraggia tutti noi a seguire il suo esempio e a non reagire alle accuse di corruzione e di spionaggio a favore della Cina. Sa che la verità verrà a galla e crede nel sistema e nel governo indiano. Ora chiede a tutti i suoi sostenitori di rimanere tranquilli e di non fare gesti inconsulti”. Lo dice ad AsiaNews Deki Chungyalpa, portavoce della terza carica spirituale del buddismo tibetano, ai margini della grande manifestazione popolare a sostegno del giovane Karmapa.

I fedeli si sono riuniti per protestare contro l’inchiesta avvenuta la scorsa settimana nel monastero di Gyuto, residenza ufficiale del lama. Le autorità indiane hanno sequestrato valuta indiana e straniera per circa 560mila euro. Il denaro era nascosto in sei valige nella stanza di Shakti Lama, che è il braccio destro del 17esimo Karmapa, noto come il “Lama dal Cappello Nero” e visto come uno dei probabili candidati alla guida dei tibetani dopo la morte del Dalai Lama.

Il Karmapa Lama è il terzo in ordine di importanza nella gerarchia religiosa – e politica – del Tibet. Prima di lui vengono il Dalai Lama e il Panchen Lama: i tre sono interconnessi anche da un punto di vista dinastico, dato che ognuno è incaricato (da secoli) di riconoscere la rinascita dell’altro.La Cina vuole interrompere questa linea dinastica, e ha già fatto rapire il vero Panchen Lama sostituendolo con un altro di nomina politica.

Alla morte del Dalai Lama i tibetani ritengono che debba essere il Karmapa a guidare la comunità in esilio fino alla rinascita e al riconoscimento del prossimo Dalai. Questa inchiesta tenta di screditarlo, dato che per il diritto tibetano gli alti lama rispondono in prima persona delle gesta dei propri assistenti.

Subito dopo il raid, alcuni organi di stampa hanno fatto circolare la voce che il lama sia “una spia di Pechino”, collegandola alla rocambolesca fuga del ragazzo dal Tibet per raggiungere il governo tibetano in esilio a Dharamsala e il Dalai Lama. La voce, spiega il portavoce, “non ha senso. Proprio per la sua incolumità, c’è sempre qualcuno insieme al Karmapa Lama. Personale di sicurezza, membri del governo, monaci: è impossibile anche soltanto pensare che possa essere una spia”.

La stessa posizione è stata espressa dai sostenitori, che hanno marciato 20 chilometri gridando “non è una spia, non è una spia”. Fra questi c’erano i maggiori gruppi della diaspora tibetana: il Congresso dei giovani tibetani, l’Associazione femminile del Tibet, il movimento Gu Chu Sum, il Partito democratico nazionale e gli Studenti per il Tibet libero. Anche 7 membri del governo in esilio, più il vice presidente della Camera, erano presenti sul palco da dove il Karmapa ha parlato alla folla.

Ai propri sostenitori, infatti, il monaco ha detto: “L’India è una seconda casa per i tibetani: qui abbiamo trovato un rifugio e un riparo. Al contrario della Cina comunista, l’India è un Paese libero e democratico basato sullo stato di diritto. Quindi credo che le cose miglioreranno e la verità verrà a galla. Quindi, per favore, calmatevi: non c’è bisogno di preoccuparsi”.