Islamabad, muore 25enne cristiana: segni di ferite, ma i medici parlano di cause naturali
di Jibran Khan
Sadaat Masih lavorava come infermiera in un ospedale privato della capitale. Il suo corpo trovato all’interno dello studentato dove alloggiava. I vertici della struttura insabbiano la vicenda. La polizia non vuole aprire un’inchiesta. I parenti denunciano un clima di omertà. Una fonte interna alla clinica rivela: ruolo ambiguo di un collega musulmano.
Islamabad (AsiaNews) – È avvolta in una cappa di mistero e omertà la morte di Sadaat Masih, 25enne infermiera cristiana, deceduta lo scorso 25 febbraio nella camera di uno studentato a Islamabad. I vertici dell’ospedale “Shifa International” – struttura privata della capitale, presso cui lavorava – parlano di morte per cause naturali; la polizia non intende aprire un fascicolo di indagine, nonostante la denuncia sporta dai parenti. Per i famigliari, infatti, il cadavere della ragazza presenta ferite anomale, che fanno pensare a un decesso violento. Una collega – dietro anonimato – conferma ad AsiaNews la posizione ambigua di un infermiere musulmano, che potrebbe aver avuto un ruolo chiave. La vittima, inoltre, in passato aveva subito “attenzioni” a sfondo sessuale da parte di colleghi e dottori musulmani.
 
La giovane, originaria di Dhoke Ratta, quartiere centrale di Rawalpindi, è entrata al “Shifa International” nel 2008, come studentessa. Nel giugno 2010 l’ospedale le ha fornito una stanza all’interno dello studentato per infermieri, dove Sadaat Masih è stata rinvenuta priva di vita il pomeriggio del 25 febbraio. La ragazza, di fede cristiana, è stata sepolta il 27 febbraio in un cimitero di Rawalpindi, ma la dinamica che ha portato alla morte è ancora tutta da chiarire.
 
P. Joseph Fazal parla ad AsiaNews di una “triste vicenda” e precisa che “Sadaat non può essere morta per cause naturali”, perché il cadavere presenta una ferita alla nuca e dei segni sul collo. Riferendosi alle infermiere cristiane, il religioso sottolinea che è “triste sapere che sono obiettivo di attacchi, portati in diversi modi, piuttosto che essere rispettate per il loro lavoro”. E chiosa: “Sadaat non farà la fine di Magdalene”, un’infermiera di Karachi violentata da un medico.
 
Riaz Msih spiega che dopo il 10 agosto 2010 – data ufficiale del suo fidanzamento con la giovane – Sadaat subiva pressioni e molestie da infermieri e medici. Un dottore le ha chiarito che “a causa della fede cristiana” non avrebbe mai ricevuto promozioni o avanzamenti di carriera, “a meno che non lo soddisfacesse andando con lui nella sua stanza”.
 
La sera del 25 febbraio l’ospedale ha chiamato la famiglia della ragazza, avvertendo che aveva avuto un incidente. Tuttavia i sanitari hanno impedito ai parenti di vederla, fornendo diverse versioni: “dall’amministrazione mi hanno comunicato che mia figlia aveva avuto un incidente – afferma Javed Masih, padre della giovane – un altro che era sottoposta a un intervento di appendicite. Alla fine ci hanno annunciato la morte”. Il giorno successivo, continua il genitore, hanno restituito il cadavere parlando di “morte per cause naturali”, ma erano evidenti i segni di ferite sul corpo.
 
Nonostante la querela, la polizia non ha voluto aprire un fascicolo contro i vertici dell’ospedale. Tuttavia, all’interno della struttura si sono verificati fatti poco chiari: una infermiera, in condizioni di anonimato, rivela ad AsiaNews che “dopo aver terminato il turno, venerdì pomeriggio, Sadaat è andata nella sua stanza, vuota perché la compagna era da poco uscita per prendere servizio”. Trascorso qualche tempo, un infermiere musulmano “ha inviato un sms in cui riferiva che Sadaat era stesa nella sua stanza ed era priva di sensi”.
 
Il personale sanitario è accorso e ha trasferito la ragazza nel reparto rianimazione. Il medico del pronto intervento ha dichiarato il decesso ma, prosegue la fonte, “l’infermiere che ha spedito l’sms non è mai stato interrogato, per capire come potesse sapere che Sadaat era priva di sensi, visto che la porta della stanza era chiusa dall’interno”. La conferma della cappa di omertà calata sulla vicenda arriva anche dal fidanzato Riaz, secondo cui “l’amministrazione dell’ospedale non collabora, non ci vogliono fornire il nome dell’infermiere musulmano”.
 
Il fratello Suleman Javed lancia un appello: “non vogliamo denaro, vogliamo solo giustizia, vogliamo sapere con precisione cosa è successo venerdì scorso, e chi è il responsabile”. Il suo grido di dolore è raccolto da mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad-Rawalpindi, che conferma “la violenza in continua crescita contro i cristiani, soprattutto nel Punjab”. Il prelato sottolinea che “quando viene applicata la legge, cessano anche le violenze” e invita il governo a “farsi carico delle ingiustizie”. “La Chiesa cattolica – conclude – è al fianco delle minoranze perseguitate e alza la voce a nome delle vittime”.