Bishkek (AsiaNews/Agenzie) – Inflazione alle stelle, trascinata dal prezzo del grano e di altri generi essenziali. Il governo kirghiso cerca di fermare i prezzi, ricordando come le proteste che nel 2010 rovesciarono il presidente Kurmanbek Bakiyev scaturirono anche dalla crescente povertà nella società. Ma non riesce a impedire le speculazioni.
Il Kirghizistan ha bisogno di almeno 1.3 milioni tonnellate di grano l’anno, secondo i dati forniti a febbraio dal ministro dell’Agricoltura Torogul Bekov. Nel 2010 un pessimo raccolto ne ha prodotto appena 813mila tonnellate, circa la metà del 2009, anche per le gravi proteste sociali che per mesi hanno spaccato e paralizzato il Paese.
Diviene perciò necessario comprare all’estero. Ma il prezzo del grano è cresciuto del 54% dal giugno 2010 (sul problema degli elevati prezzi degli alimenti vedi AsiaNews del 17.2.2011, Forte fiammata inflazionistica provocata dall’aumento dei prezzi alimentari, e del 4.2.2011, Rischi sociali per la crescente incertezza mondiale dei prezzi degli alimenti), secondo i dati della Banca Mondiale e la Russia, normale fornitore di Bishkek, nel 2010 ha fermato le esportazioni per i gravi incendi e la siccità che l’hanno colpita in estate. Il Kirghizistan è stato indicato dall’Organizzazione per il Cibo e l’Agricoltura delle Nazioni Unite come uno dei Paesi più colpiti dall’impennata dei prezzi alimentari.
Il governo è in grossa difficoltà: basti pensare che tra le misure immediate, il 21 febbraio il vice premier Ibragim Dzhunusov ha annunciato con soddisfazione in conferenza stampa che le famiglie a basso reddito riceveranno ognuna un sacco di farina.
Più in generale, il 17 febbraio il governo ha proposto al Parlamento di rimuovere i dazi sull’importazione di generi essenziali come carne, olio, farina, zucchero e riso, ma il dibattito non è ancora terminato. Intanto il 24 febbraio il prezzo del grano è salito del 10% in un solo giorno.
Baburbek Jeenbekov, capo dell’Agenzia Statale Antimonopolio (Asa), dice all’agenzia Eurasianet che spesso ci sono pure fenomeni speculativi nella rete distributiva e propone al governo di imporre prezzi fissi per parecchi prodotti come cemento, carbone, prodotti petroliferi e alcuni medicinali. A novembre in Kazakistan la farina costava 395-400 dollari la tonnellata, ma la stessa farina, esportata in Kirghizistan, era venduta a circa 449 dollari la tonnellata. Ma il timore di molti esperti è che i prezzi fissi inducano i produttori esteri a vendere altrove e favoriscano un mercato nero a prezzi ancora maggiori, come è successo in Tagikistan quando il governo ha cercato di controllare i prezzi del pane. Il governo teme un’improvvisa mancanza di pane e farina ancora più degli aumenti di prezzo.
L’economista Aiylchy Sarybaeva dell’Università Nazionale Kirghisa a Bishkek critica il governo per non avere mai disciplinato l’economia del Paese e di ignorare persino “quanti intermediari” intervengono e fanno crescere i prezzi nella rete di distribuzione di farina, olio, zucchero e altri generi.
Il sistema di distribuzione è talmente iniquo e corrotto che il 22 febbraio Akbar Atakeev, presidente dell’Unione Kirghisa dei Fornai, ha chiesto all’Asa di aiutare i fornai a distribuire il pane in modo diretto ai consumatori, lamentando che loro lavorano “in perdita” mentre gli intermediatori si arricchiscono con forti aumenti di prezzo.
Intanto Melisbek Myrzakmatov, sindaco di Osh, epicentro delle violenze etniche della scorsa estate, il 2 marzo ha ammonito circa un crescente “pubblico malcontento” per la crescita dei prezzi.
Temir Sariyev, ex ministro alle Finanze del governo a interim, avverte che “la tensione sociale è elevata. Il governo deve prendere misure urgenti per ridurla…. anche se fosse necessario distribuire pane gratis alle famiglie povere”.