Ryadh: dimostrazioni e appelli sono “non islamici” dicono ulema e governo
Un comunicato del ministro dell’Interno, e una dichiarazione del Consiglio degli studiosi islamici proibiscono ogni forma di protesta e di sit-in per le riforme. Sotto tiro anche Internet, e le petizioni degli intellettuali.

Ryadh (AsiaNews/Agenzie) – Ogni forma di protesta e di marcia - sul modello della rivoluzione dei gelsomini - è proibita in Arabia saudita. Lo ha annunciato il ministro dell’Interno alla televisione di Stato, aggiungendo che le forze della sicurezza useranno ogni mezzo per prevenire qualsiasi tentativo di mettere a rischio l’ordine pubblico. E il 6 marzo i dieci più autorevoli religiosi sauditi hanno definite come “non islamico” fare appello a dimostrazioni e petizioni per chiedere riforme nel regno.

Entrambi gli annunci fanno seguito a una serie di proteste esplose nelle regioni popolate soprattutto da sciiti nell’est del Paese, al confine con il Bahrain, e ad appelli circolati sui social web e su Internet per emulare la “rivoluzione dei gelsomini” dell’Egitto e della Tunisia. Nei giorni scorsi re Abdullah ha reso note una serie di misure tese a diminuire il disagio sociale. (21/02/2011 Rivolta dei Gelsomini: l’Arabia saudita teme il contagio, e pensa alle riforme).

La dichiarazione del ministro dell’Interno afferma che “le regole del regno proibiscono categoricamente ogni genere di dimostrazione, marcia o sit-in, dal momento che esse contraddicono la legge della Shari’a e i valori e le tradizioni della società saudita”.  Inoltre si annuncia che la polizia “è autorizzata a prendere tutte le misure necessarie contro coloro che vogliono infrangere la legge”. In contemporanea, è stata decisa la liberazione di un religioso sciita, Tawfiq al-Ahmar, arrestato il 27 febbraio per le sue dichiarazioni a favore di una monarchia costituzionale. L’Arabia saudita è retta da una monarchia assoluta wahabita.

Sempre ieri il Consiglio dei dieci studiosi anziani, presieduto dal mufti dell’Arabia saudita, ha emesso una nota in cui si afferma che “le dimostrazioni sono proibite, in questo Paese, e che il modo islamico di realizzare il bene comune è quello dell’offerta di consiglio. La riforma e il consiglio sono la via islamica per portare vantaggi ed evitare i danni, e questo non può avvenire tramite dichiarazioni minacciose e sediziose, in cui si raccolgono firme”. Il riferimento, oltre che agli appelli via Internet per manifestazioni fissate per l’11 e il 20 marzo, è alle richieste indirizzate a re Abdullah da intellettuali e attivisti dei diritti umani per modifiche sociali e costituzionali.