Da marzo in poi, proibito il Tibet ai turisti stranieri
I motivi ufficiali: la regione è fredda e ghiacciata e ci sono pochi posti disponibili negli alberghi. In realtà, in questo mese si celebrano i 60 anni della “pacifica liberazione” del Tibet, cioè l’inizio dell’occupazione militare a partire dal 1951. Nel timori di rivolte come quelle precedenti alle Olimpiadi, si frena la presenza di stranieri e giornalisti.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Per tutto il mese di marzo e fino a data da destinarsi, ai turisti stranieri non sarà concesso alcun visto per visitare il Tibet. Lo ha stabilito Zhang Qinli, segretario regionale del Partito, al margine dell’Assemblea nazionale del popolo, in corso nella capitale.
I motivi ufficiali sono la cura per la salute dei turisti, dato che adesso in Tibet il tempo è “freddo e ghiacciato” , e le difficoltà di trovare posti in albergo. In marzo si celebra il capodanno tibetano e vi sono numerose attività religiose che richiamano migliaia di fedeli buddisti. Zhang ha precisato che su 1000 hotel, solo 165 sono destinati ad accogliere viaggiatori stranieri e perciò “la nostra capacità di accogliere più turisti è limitata”.
 
L’agenzia Xinhua ricorda che nel mese di marzo nella regione himalayana si celebrerà il 60mo anniversario della cosiddetta “liberazione pacifica” del Tibet, quando il Paese è stato occupato dall’esercito di Mao Zedong, nel 1951.
 
Molti sospettano che il divieto serve per isolare la regione ed evitare la presenza di stranieri e soprattutto giornalisti in un periodo in cui potrebbero accadere manifestazioni e rivolte, come nel 2008, a pochi mesi dalle Olimpiadi di Pechino. Il 14 marzo di quell’anno, alcune manifestazioni pacifiche di monaci e fedeli buddisti si sono trasformate in rivolte che hanno causato la morte di 13 cinesi han. La repressione dell’esercito ha portato alla morte di circa 200 tibetani e all’arresto di migliaia.
 
In quell’occasione, Zhang – che guida il partito in Tibet da cinque anni – ha accusato il Dalai Lama di essere l’ispiratore delle rivolte e lo ha definito “un lupo in vesti di agnello” e un “diavolo dal volto umano, ma dal cuore di bestia”.
 
Ogni anno in Tibet vi sono circa 7 milioni di visitatori. Secondo diversi tibetani, l’industria del turismo sta contribuendo al “genocidio della cultura tibetana”, mentre i proventi – sui 700 milioni di euro all’anno – arricchiscono solo i cinesi e non la popolazione locale.