Malaysia: il governo sblocca le 35mila Bibbie fermate per la diatriba sul termine “Allah”
Kuala Lumpur cede alle pressioni e alle proteste, e permette che le Bibbie importate dall’Indonesia entrino nel Paese. I libri porteranno la sovrascritta “Solo per cristiani”. Il timore che possano avvenire conversioni dall’ islam.

Kuala Lumpur (AsiaNews/Agenzie) – Il governo ha sbloccato 35mila bibbie in lingua malay ferme al porto di destinazione. E’ stato il governo stesso ad annunciare la decisione, dopo la polemica legata all’uso della parola “Allah” per significare “Dio”. Il governo aveva proibito l’uso del termine Allah da parte dei cristiani, in particolare del giornale cattolico “Herald”. La Corte suprema ha dato ragione ai cristiani, ma il governo ha fatto appello, e nel frattempo ha bloccato due carichi di Bibbie provenienti dall’Indonesia. (12/03/2011 Cristiani protestano: il governo blocca 30mila Bibbie in lingua malay ).

Il rilascio è legato a una legge del 1982 che permette“una limitata e controllata importazione e circolazione di Bibbie in lingua malay, con la sovrascritta: ‘Solo per cristiani’”, ha spiegato Idris Jala, un funzionario del dipartimento del Primo ministro. “Questo è un compromesso ragionevole per gestire la polarizzazione di opinioni fra cristiani e musulmani nel paese”, ha aggiunto il funzionario. Il governo aveva detto in precedenza che l’uso del termine “Allah” per indicare Dio da parte della minoranza cristiana potrebbe causare confusione e incoraggiare le conversioni dall’islam, illegali nel paese a maggioranza musulmana.

Il 60% dei malaysiani sono musulmani sunniti (religione ufficiale del paese); circa il 19% pratica il buddismo; il 9% sono cristiani e il 6% induisti. Il restante è diviso fra religioni cinesi e filosofie e credenze tradizionali.

Il 14 marzo il vescovo della diocesi di Malacca-Johor, Paul Tan, aveva protestato ufficialmente, con una rara presa di posizione, contro il blocco delle Bibbie (“Al Kitab”, in malay) definendo la decisione “un flagrante esempio di ipocrisia”, e “una violazione del diritto fondamentale della libertà di religione garantito dalla Costituzione federale, ed è difeso da papa Benedetto XVI come il diritto di proteggere la dignità della persona umana e la sua libertà di coscienza”.