I mezzi di comunicazione ci hanno bombardato di continuo con immagini e cronache, che hanno afferrato la nostra attenzione in queste settimane. A poco a poco, ci siamo però abituati a questa tragedia e ormai le notizie sulla situazione del Giappone non appaiono più nei titoli di testa dei giornali.
Sicuramente in questa situazione drammatica vi sono molte storie di dolore e tristezza, ma anche di speranza. Alcune già le conosciamo, ma la maggior parte di loro saranno dimenticate oppure resteranno solo nei cuori di coloro che le hanno vissute.
Io desiderei condividere due storie che ho ascoltato direttamente da amici che si trovano vicino alla zona del disastro.
Il maestro Hideo Takeda, originario della prefettura di Fulushima, mi ha raccontato di un gruppo di anonimi eroi che stanno offrendo la loro vita per risolvere il problema delle radiazioni emesse dai reattori della centrale nucleare. Nel reattore N. 2, stanno lavorando 279 impiegati della Tokyo Denriyoku (la compagnia elettrica della capitale che si occupa degli impianti nucleari). Essi utilizzano attrezzature speciali per difendere il corpo dalle radiazioni e stanno tentando di ristabilire la linea elettrica per far funzionare di nuovo il sistema di raffreddamento dell’impianto. Tutte queste persone hanno messo la loro vita in pericolo. Oltre a loro si è offerto volontario un altro gruppo di tecnici e lavoratori della Hitachi Seisakujo, la compagnia che ha disegnato i reattori, e della Kashima Kensetsu, la società che ha costruito l’impianto. Dei volontari nessuno è sposato o ha famiglia. Essi sono esposti a livelli di radiazioni centinaia di volte superiori alla norma e sanno che moriranno per la lunga esposizione al materiale radioattivo. Tuttavia sono consapevoli che senza il loro operato, molte persone potrebbero soffrire a causa di questo incidente. Queste tecnici sono dei veri martiri, testimoni della vita in mezzo a così tanto dolore.
Una madre di famiglia, Mutsumi Senzaki, che vive nella città di Sendai, una della aree più devastate dallo tsunami, mi ha raccontato che un compagno di scuola di suo figlio, che frequenta il primo anno di scuola, ha perso suo padre. Questi, un poliziotto, stava svolgendo il suo lavoro quando la città è stata colpita da terremoto e tsunami ed è morto mentre stava aiutando diverse persone a ripararsi dentro un rifugio. Grazie al suo sacrificio molta gente è sopravissuta. Anche questo poliziotto è un vero eroe che ha offerto la sua vita, lasciando orfano un figlio di sette anni, ma che di sicuro crescerà con il ricordo di un padre che ha sacrificato la vita per darla agli altri.
Forse, non sapremo mai con certezza i danni provocati da terremoto e tsunami; molti corpi non saranno recuperati e diversi edifici non verranno mai più ricostruiti. Tuttavia la ferita lasciata nel popolo giapponese è la cosa più difficile da sanare. Pertanto io mi chiedo come possiamo aiutare questo popolo a sopportare questo dolore, questa disperazione, questa solitudine?
Oggi più che mai è necessaria la nostra presenza come cristiani, come uomini e donne che hanno fede e speranza in Dio per dare il nostro piccolo contributo alla ricostruzione morale e spirituale del nobile popolo giapponese.
Credo che come missionari di Guadalupe, servitori e testimoni di speranza uniti alla popolazione del Giappone, siamo in un momento di grazia e conversione. Si apre davanti a noi una nuova tappa di duro lavoro e una grande sfida per l’evangelizzazione, che è la missione principale del nostro istituto.
Io desidero questo con tutto il cuore e prego affinché sappiamo rispondere al momento difficile che sta vivendo il Giappone attraverso la nostra presenza missionaria in mezzo a questo popolo.