“La popolazione – sottolinea mons. Martinelli è stremata dalle continue esplosioni e chiede a gran voce la fine delle ostilità”. Il prelato dice che occorre comprendere qual è il dolore per una bomba che distrugge una casa e che porta via delle vite”.
Ieri a Tripoli si sono celebrati i funerali di Stato di Saif Al-Arab Gheddafi, i figlio minore del rais, ucciso lo scorso 30 aprile insieme a due nipoti, durante un raid Nato contro il Bab al-Aziziya, fortezza privata di Gheddafi. La cerimonia è durata quattro ore e ha raccolto i membri del governo, i familiari e gran parte della popolazione della capitale, ma non Gheddafi assente per ragioni di sicurezza. Mons. Martinelli era presente al funerale insieme alle delegazioni religiose del Paese e critica chi mette in dubbio la reale identità del morto, aumentando la rabbia e l’odio non solo della famiglia del rais, ma del popolo libico.
“Quando mi hanno invitato ad andare al funerale – racconta - io ho accettato perché è un atto di pietà”. “Io ho visto il corpo del ragazzo – sottolinea - come si può dire che è tutta una farsa?”. Il prelato spiega che questo atteggiamento di falsità reciproca è terribile e alimenta i pregiudizi senza fine nei confronti della Libia e di Gheddafi.
Secondo mons. Martinelli il governo italiano, prima grande amico e sostenitore del rais deve cambiare rotta e dire “basta” al lancio di bombe e aprire il dialogo con il governo, per evitare un escalation di odio e di rappresaglie. “Come si può pretendere che Gheddafi stia tranquillo – spiega – è ovvio che lui reagirà mandando migliaia di immigrati in Italia, proprio perché i governi si rifiutano di dialogare con lui”. (S.C.)