Missionario del Pime: a Dhaka, tra i bambini di strada e il dialogo interreligioso
di Nozrul Islam
Un movimento di volontari assiste 6 giorni su 7 i bambini di strada: cibo, cure mediche, rudimenti igienico-sanitari, ricongiungimenti familiari. L’associazione non accetta donazioni straniere.
Dhaka (AsiaNews) – A Dhaka, in Bangladesh, esiste un nutrito gruppo di volontari che assiste bambini e ragazzi di strada. Fr. Lucio Beninati, missionario del Pime e fondatore dell’associazione, ha deciso di portare in Bangladesh l’esperienza maturata negli anni passati in Brasile, tra i bambini delle favelas. Un modo per aiutare questi ragazzi, ma anche una forma di dialogo interreligioso basata sull’opera più che sulla predica. Dopo i primi passi un po’ difficili, è nato un vero e proprio movimento, cui partecipano solo volontari: nessun “professionista” dei diritti sociali e anzi, chi decide di collaborare deve pagare una piccola tassa mensile. In genere, i volontari assistono questi ragazzi di sera, per 6 giorni a settimana, ogni giorno coprendo un’area diversa della città. Al momento, l’associazione conta un’ottantina di volontari regolari, oltre a una fitta rete di contatti.

In questi incontri settimanali, i volontari giocano un po’ con loro, controllano le loro condizioni mediche (piccole ferite, infezioni, ecc.) e cercano di istruirli un po’. In tal senso, il primo passo è quello di dare loro un’educazione “igienica” di base: anche solo spiegare loro l’importanza del bere è fondamentale. Infatti, molti di questi ragazzini sono impegnatissimi nel mendicare o a fare lavoretti, e bevono poco. In Bangladesh fa molto caldo, così capita che svengano e si sentano male, solo perché non sanno che basterebbe bere in modo più regolare.

Dove possibile, l’obiettivo a lungo termine è riaccompagnare i bambini nelle loro famiglie. Talvolta, i ragazzi conoscono la loro famiglia d’origine: così, quando uno di loro accenna di voler rintracciare i propri cari, l’associazione lo ospita in un piccolo locale, dove può stare mentre si contattano i familiari. Ritrovata la famiglia, il giovane può essere riaccompagnato a casa, o aspettare che lo vengano a prendere se i genitori danno garanzia di accoglierlo bene.

Trattandosi solo di volontari, il movimento vive una notevole rotazione. Una fatica, perché ogni volta bisogna “educare” i nuovi collaboratori e questi devono conquistare la fiducia dei bambini. Tuttavia, il ricambio continuo consente di raggiungere molte più persone, di tutte le religioni. Cristiani, musulmani, indù e buddisti cercano di trovare valori comuni su cui impostare il lavoro, nel rispetto dell’altra religione: è un dialogo interreligioso costruito attraverso l’opera pratica. È un’occasione di lavoro quotidiano, intenso, profondo, di maturazione – per i volontari e per i ragazzi – di una mentalità interreligiosa.

Il finanziamento dell’associazione proviene tutto dal Bangladesh, perché fr. Lucio non accetta soldi dall’estero. Ciò rappresenta uno stimolo maggiore, permette al movimento una certa indipendenza e sensibilizza una fascia larga della popolazione. C’è un medico, per esempio, che ha scoperto il gruppo e la sua opera dopo aver curato uno dei bambini. Da quel momento, egli si fa mandare i ragazzi malati, che cura senza farsi pagare.

Da qualche anno, in collaborazione con il gruppo ecumenico Shalom, l’associazione di fr. Lucio organizza il festival dei ragazzi di strada: una giornata di gioia e di festa, in cui adulti di tutte le religioni li accolgono, danno loro da mangiare e giocano insieme. Il primo è stato fatto al centro buddista di Dhaka, ma ogni anno la sede cambia per cercare di sensibilizzare più persone possibili.