Punjab: domestica cristiana, schiavizzata, lascia il lavoro. I padroni l'accusano di furto
di Jibran Khan
La donna, 35anni e madre di tre figli, è malata di tubercolosi. La famiglia musulmana la costringeva a lavorare 17 ore al giorno. Ora la denunciano perché avrebbe sottratto gioielli. Funzionario di polizia estorce con l’inganno una confessione. Leader cristiani: giustizia e leggi a tutela delle domestiche cristiane.
Lahore (AsiaNews) – La obbligavano a lavorare circa 17 ore al giorno come cuoca e domestica, con turni che iniziavano la mattina alle 7 e finivano verso la mezzanotte. Quando la donna cristiana, malata di tubercolosi, tre mesi fa ha dato le dimissioni perché debole e provata nel fisico, la famiglia musulmana ha voluto vendicarsi accusandola – ingiustamente – di un furto di gioielli. Con la complicità di alcuni funzionari di polizia, le hanno estorto una falsa dichiarazione di colpevolezza. Arriva dalla città pakistana di Sultan, nel distretto di Muzaffargarh, provincia del Punjab, il nuovo caso di violenza e abusi contro la minoranza religiosa, in un Paese sempre più ostaggio di una deriva fondamentalista.
 
Protagonista della vicenda è Rani Masih, moglie di Javed, 35 anni e madre di tre figli, affetta da tempo da una grave forma di tubercolosi che la rende fragile. Il 14 giugno è comparsa davanti agli agenti della caserma di Sultan che, guidati dal vice-ispettore Ch. Mehraj, hanno esercitato pressioni per farle confessare un crimine mai commesso. Rani è analfabeta e le violenze psicologiche subite durante gli interrogatori, ripetuti per diversi giorni, hanno provato il suo fisico già debole.

La donna lavorava in condizioni di semi-schiavitù presso la famiglia di Zaheer Ahmed Khan, vittima di pressioni e costrizioni perpetrare dalla moglie e dal figlio del musulmano. I due hanno denunciato un furto mai avvenuto – la donna avrebbe infatti perduto borsa e gioielli a una festa, in casa di suo fratello – per costringere la 35enne madre cristiana a tornare alle loro dipendenze. Fonti locali riferiscono che nessuno intende collaborare con la famiglia musulmana, a causa di “salari bassi e trattamenti disumani”. Solo qualche famiglia cristiana, povera e bisognosa, accetta ogni di lavorare per loro.

Dietro mandato di un alto funzionario della polizia di Sultan, il vice-ispettore Ch. Mehraj ha preso con la forza il pollice di Rani Masih e lo ha impresso su un foglio sul quale poi avrebbero redatto una dichiarazione di colpevolezza della donna. La polizia ha smentito la ricostruzione, ma le fonti locali confermano la vicenda. In passato un’altra donna cristiana, Mariam Bibi, ha lavorato come cuoca per la stessa famiglia e ha subito una vicenda analoga a quella di Rani, basata su accuse pretestuose e infondate. Intanto la famiglia di Zaheer Ahmed Khan persiste nel ricatto: o la donna torna a lavorare alle loro dipendenze, oppure dovrà finire in prigione.

P. Sajid Masih, sacerdote a Muzaffargarh, condanna il nuovo caso di violenze anti-cristiane, sottolineando il “lavoro forzato” cui sono costretti per fame e necessità. Egli aggiunge che Rani è solo una “delle moltissime domestiche cristiane che sono vittime delle classi più facoltose”, costrette a subire angherie, abusi, fino al traffico di vite umane. Il vescovo Joseph Nadeem, di Multan, si unisce alla condanna per le “false accuse” a Rani e precisa che la Chiesa cattolica “è in contatto con la sua famiglia e farà di tutto per portarla a casa”. Il prelato invoca leggi per regolamentare il lavoro domestico e giustizia per le vittime.