Caritas Sri Lanka: il popolo ha bisogno di una pace sostenibile
di Melani Manel Perera
Un convegno organizzato dalla Caritas Sri Lanka – Sedec ha evidenziato gli obiettivi dei leader politici: dare dignità ai tamil; rivedere la questione della lingua nazionale; smantellare l’amministrazione militare al nord.
Colombo (AsiaNews) – Cambiare atteggiamento, imparare dagli errori del passato e riconoscere i diritti dei tamil, anche attraverso l’impegno “essenziale” dei leader religiosi. Questi i punti fondamentali su cui il governo deve concentrarsi per il bene del Paese, emersi in un convegno della Caritas Sri Lanka – Sedec, sul tema “Il ruolo dei futuri leader politici nel processo di guarigione e riconciliazione, verso una pace sostenibile nel Paese”. Presenti all’incontro, politici del governo e dell’opposizione, dignitari interreligiosi, monaci buddisti, sacerdoti e personalità di spicco della società civile.

I politici presenti erano concordi nell’affermare la necessità di risolvere la questione etnica. “Il futuro di questo Paese – ha dichiarato Dayasiri Jayasekara, membro dell’Unp (United National Party) – attecchirà solo su una base di armonia e pace tra singalesi e tamil. E la mediazione della religiosa dovrebbe contribuire al miglioramento delle persone e della nazione”. Per ottenere questo, secondo M.A. Sumanthiran, della Tna (Tamil National Alliance), “dovremmo riconoscere i fallimenti del passato, non nasconderli sotto il tappeto”. E lanciando un messaggio al presidente Rajapaksa, il politico tamil ha dichiarato: “Se stiamo entrando in una nuova era, dovremmo camminare uniti come un Paese, non come un singolo partito politico”.

Vijitha Herath, membro del Jvp (Janatha Vimukthi Peramuna, della coalizione di governo), afferma: “Abbiamo vinto la guerra, ma non la pace: il nostro inno nazionale è ancora solo in singalese; di recente [durante le ultime elezioni, ndr] abbiamo assistito a nuove minacce e violenze contro i tamil… Che messaggio stiamo dando ai giovani del nord e del sud? Almeno ora, i tamil dovrebbero avere la libertà di vivere con dignità. Senza unità nazionale e uguali diritti, lo sviluppo è un mito”.

A due anni dalla fine del conflitto etnico, la questione della lingua rappresenta una delle discriminazioni più evidenti tra la popolazione: il singalese, infatti, è l’idioma ufficiale del mondo politico e dell’intero apparato burocratico. Sujeewa Senasinghe, altro membro dell’Unp, spiega: “Se prima la lingua era un problema, oggi è diventata la causa di altri problemi. Se un tamil alza la voce per i suoi diritti, è considerato un terrorista. I politici dovrebbero mettere in pratica le loro proposte”.

Poi, Senasinghe ha rintuzzato i leader cristiani e buddisti, accusandoli di non criticare mai il presidente o il suo regime quando commettono degli errori. Tuttavia p. Mangalaraj, della diocesi di Jaffna, ha puntualizzato come sia difficile aiutare la popolazione nel nord del Paese, a causa dell’autorità militare che ancora amministra la zona, seminando paura tra la gente e privandola di qualsiasi libertà d’espressione.