A Tripoli riappare libero Seif al Islam, il figlio di Gheddafi
Ieri i ribelli rivendicavano la sua cattura e la denuncia davanti al Tribunale internazionale dell’Aia. Gruppi pro-Gheddafi e ribelli rivendicano ognuno di controllare la maggior parte della capitale. Continuano i bombardamenti Nato e l’uccisione di civili. Alcuni media costretti a tacere la presenza di fondamentalisti islamici fra i ribelli.
Tripoli (AsiaNews/Agenzie) – Seif al-Islam, il figlio del leader libico che i ribelli dicevano di aver catturato e accusato davanti al tribunale internazionale dell’Aia, è apparso stamattina molto presto nell’hotel Rixos della capitale - dove stanno i giornalisti stranieri - e si è vantato con loro delle possibilità di vittoria che il padre ha contro i ribelli, che ieri rivendicavano il possesso quasi integrale della città.

In atteggiamento di sfida, Seif, 39 anni, considerato l’erede del colonnello, ha portato in giro alcuni giornalisti per mostrare il controllo delle milizie pro-Gheddafi sulla città. Seif rivendica il controllo del 75% di Tripoli; i ribelli rivendicano il controllo sull’80%.

L’apparizione del figlio di Gheddafi – che i ribelli davano per arrestato – ha scombussolato tutti gli osservatori. Nella notte si è diffusa un’altra notizia: che l’altro figlio di Gheddafi, Muhammar, che i ribelli dicevano si era consegnato spontaneamente, ora “è fuggito” e non si sa dove sia.

Alcuni pensano che la facilità con cui i ribelli sono entrati in Tripoli fa sospettare che i pro-Gheddafi abbiano teso loro una trappola per circondarli e annientarli.
Ieri leader politici di Usa, Europa, Australia, e perfino Cina e Russia – finora freddi verso le operazioni Nato sulla Libia – hanno consigliato a Gheddafi di abbandonare il campo, di consegnarsi e di fermare un possibile “bagno di sangue”.

La Nato non ha interrotto i suoi bombardamenti e da due giorni continua a colpire la zona di Bab al Aziziah, dove si trova la fortezza di Gheddafi e dove si pensa il leader libico sia nascosto. Intanto, in diverse zone della città vi sono scontri a fuoco.
Secondo alcuni giornalisti presenti a Tripoli, i bombardamenti Nato continuano ad uccidere civili. Alcuni di loro hanno ricevuto minacce perché nei loro reportage non citino la presenza fra i ribelli di gruppi fondamentalisti o legati ad al Qaeda (vedi qui).