L’allarme degli economisti: Senza riforme la Cina crollerà
Wu Jinglian, l’economista più ascoltato e stimato dai vertici comunisti, attacca il governo: “Se non mettete in pratica delle vere riforme, politiche ed economiche, rischiamo il collasso”.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) - La Cina deve iniziare al più presto le annunciate politiche riformatrici, oppure perderà tutto quello che ha raggiunto negli ultimi 30 anni. A dirlo non è un dissidente o un analista internazionale, ma Wu Jinglian, l’economista più ascoltato e stimato dai vertici comunisti. In un articolo pubblicato sull’Economic Information Daily, Wu critica Pechino “per i passi indietro, che hanno permesso al settore statale di sovrastare quello privato”.

L’economista, 81 anni, è stato il consigliere dei vertici cinesi sin dalle prime aperture di mercato lanciate da Deng Xiaoping alla fine degli anni ’70. Al momento ricopre il ruolo di ricercatore presso il Centro di ricerca per lo sviluppo del Consiglio di Stato ed è membro della Commissione nazionale della Conferenza politica e consultiva del popolo cinese, organismo che consiglia l’Assemblea nazionale. Nell’articolo chiede al governo di “rompere” con le vecchie ideologie e di continuare le riforme delle aziende gestite dallo Stato.

Si tratta dell’attacco più diretto da parte dei circoli governativi nei confronti dei vertici, “colpevoli” di aver frenato l’evoluzione politica ed economica della nazione. Anche il premier Wen Jiabao ha chiesto “maggiori restrizioni” al potere del Partito comunista, ma i suoi appelli sono caduti nel vuoto,. E questo, sottolinea Wu, “ha permesso alle aziende di Stato di espandere il proprio monopolio in troppi settori: le protezioni e gli incentivi che ricevono falsano la situazione”.

Per rispondere alla crisi economica e finanziaria, nel solo 2009 Pechino ha stanziato circa mille miliardi di yuan a favore delle industrie, ma i soldi sono andati per la maggior parte a quelle imprese guidate di fatto dal governo stesso: “Questo modo di agire colpisce inevitabilmente la salute a lungo termine della nostra economia. E i nostri dirigenti, troppo spesso di nomina politica, non possono competere con quelli privati in termine di efficienza e rendimento”.

L’unica via di uscita da questa situazione, conclude, “è mettere veramente in pratica le riforme che il governo dice di voler fare da circa 30 anni. Ma queste non vengono mai attuate per la resistenza di gruppi di potere interessati a mantenere il loro status e per la paura, che porta i dirigenti a tenersi aggrappati a vecchie ideologie”.