Arcivescovo di Yangon: dal governo, segnali “positivi” di cambiamento
Mons. Bo racconta di un popolo “colmo di speranza”, dopo oltre 50 anni di regime militare che ha colpito Chiesa e cittadini. Il prelato non nega “restrizioni” o “discriminazioni”, ma intravede un futuro di speranza per i fedeli. Definisce l’India “modello” di riferimento e ripete le parole di Giovanni Paolo II: Asia terra di missione per il terzo millennio.
Mumbai (AsiaNews) – Il nuovo governo birmano ha lanciato “segnali positivi” come la recente liberazione di molti prigionieri politici e, prima ancora, di Aung San Suu Kyi, oggi impegnata “in modo attivo nei dialoghi” con vari ministri e col presidente Thein Sein. È quanto afferma ad AsiaNews mons. Charles Bo, arcivescovo di Yangon, capitale economico-commerciale del Myanmar, secondo cui “sono in corso dei cambiamenti” i cui risultati saranno visibili in un futuro prossimo, ma fin da ora gli “effetti” sono concreti. “Siamo un popolo – sottolinea l’attuale presidente dell’Ufficio per lo sviluppo umano (Ohd), della Federazione dei vescovi dell’Asia (Fabc) – colmo di speranza”.

Dal 12 al 15 ottobre il presidente del Myanmar Thein Sein, alla guida di un Parlamento composto in larga parte da civili, dopo decenni di dittatura militare, ha compiuto una visita ufficiale in India, dove è stato accolto con tutti gli onori. La classe dirigente del Paese – frutto delle elezioni “farsa” del 7 novembre 2010 – è ancora oggi emanazione diretta o sostenuta politicamente dall’esercito, ma sono emersi spiragli che inducono a un cauto ottimismo: dalla liberazione della Nobel per la pace, al recente provvedimento di amnistia che ha interessato circa 300 detenuti politici; la decisione di interrompere la costruzione della diga in territorio Kachin, lungo il fiume Irrawaddy, la possibilità di riunirsi in sindacati e indire scioperi, l’ipotesi di allentare o togliere la censura ai media.

“Per oltre mezzo secolo – afferma mons. Bo, in India per l’incontro dei vescovi dell’Asia – il Paese è stato guidato da un regime militare, che ha confiscato le nostre scuole missionarie, espulso i sacerdoti stranieri e oggi abbiamo a disposizione solo preti locali”. L’arcivescovo di Yangon sottolinea che la Chiesa birmana non è vittima di “persecuzioni dirette”, ma permangono “restrizioni” e “discriminazioni” come minoranza religiosa che raccoglie “solo l’1,3% della popolazione”. Tuttavia, aggiunge, “vi sono segnali positivi anche all’interno della Chiesa birmana”, fra cui le migliaia di battesimi celebrati lo scorso anno in tutto il Myanmar.

Mons. Bo ricorda le parole di Giovanni Paolo II: l’Asia protagonista del terzo millennio e, nel continente asiatico, la Chiesa cattolica dovrebbe  rilanciare il cammino missionario di evangelizzazione. “L’Asia è la culla – spiega l’arcivescovo – delle principali religioni al mondo: ebraismo, cristianesimo, islam e induismo. Lo spirito Santo guiderà la Chiesa nella missione e la Dottrina sociale della Chiesa costituisce la linea guida”.

L’ultima riflessione del prelato verte sull’India, il Paese al quale il Myanmar dovrebbe guardare in un futuro prossimo per continuare il cammino democratico. “L’India è una nazione – dichiara mons. Bo – ammirata in tutta l’Asia. L’India è la più grande democrazia al mondo, con libertà di espressione, religione e stampa”. Per l’arcivescovo di Yangon essa diventa un punto di riferimento “molto importante” perché “in molte nazioni dell’Asia del sud queste libertà sono controllate. L’India, al contrario, diventa fonte di ispirazione per tutti”. (NC)