Tibet: le prime due auto-immolazioni del 2012, per protesta contro Pechino
Nel pomeriggio di ieri due persone, a breve distanza, si sono date fuoco nei pressi del monastero di Kirti, nella città di Ngaba. Un uomo sarebbe morto, ma non vi sono conferme ufficiali. Le autorità cinesi hanno rimosso i corpi e imposto una rigida censura. Decine di migliaia di fedeli in pellegrinaggio per assistere alle lezioni del Dalai Lama.
Dharamsala (AsiaNews) – Due tibetani si sono dati fuoco nel pomeriggio di ieri, per protestare contro la fine del “colonialismo” cinese nella regione e “l’immobilità” dei governi occidentali che, in un periodo di crisi economica, non vogliono creare frizioni con il governo di Pechino. Si tratta del primo episodio registrato nel 2012, per un totale di 14 casi di auto-immolazione a partire dal marzo scorso. Secondo alcuni testimoni una delle due persone sarebbe deceduta, ma non vi sono conferme ufficiali e le autorità cinesi hanno imposto una rigida censura. Intanto decine di migliaia di pellegrini buddisti di tutto il mondo si muovono verso Bodhgaya, città nel nord dell’India, dove sono in programma i “Kalachakra”, insegnamenti religiosi tenuti dallo stesso Dalai Lama.

Un testimone oculare riferisce che ieri, alle 14.50 ora locale, un uomo si è dato fuoco nei pressi del monastero di Kirti, nella città di Ngaba. Altre fonti aggiungono che la vittima – sembra si tratti di un laico – abbia lanciato slogan inneggianti al ritorno del Dalai Lama; la polizia cinese è intervenuta per domare le fiamme, quindi ha portato via l’uomo. Al momento non si sa nulla delle sue condizioni e dove sia detenuto.

In un secondo episodio, avvenuto sempre ieri, una persona si è auto-immolata nelle vicinanze e alla stessa ora. Un altro testimone oculare, in condizioni di anonimato, ha affermato che l’uomo sarebbe morto per le ustioni e il suo cadavere portato via in tutta fretta dalle autorità di Pechino.

Interpellata da AsiaNews Stephanie Bridgen, direttrice di Free Tibet, sottolinea che questi ultimi episodi “confermano che quanto stiamo testimoniando in Tibet è un rifiuto profondo dell’occupazione cinese”, mentre la comunità internazionale “è incapace” di fornire risposte adeguate. “Le proteste sono destinate a continuare nel tempo – aggiunge – fino a quando i leader mondiali continueranno a chiudere gli occhi davanti alla situazione disperata in cui versa il Tibet”.

Le tensioni nella Regione autonoma del Tibet continuano dal marzo 2008, quando l’intervento dell’esercito cinese ha represso nel sangue la protesta dei monaci. Pechino punta il dito contro il Dalai Lama, accusandolo di promuovere le auto-immolazioni, che sarebbero invece contrarie agli insegnamenti del buddismo. In risposta, il leader spirituale dei tibetani bolla come “illogica e crudele” la politica cinese verso il Tibet e invita il governo a modificare le norme “repressive” fra cui i raid nei monasteri e il divieto di insegnamento della lingua tibetana. (NC)