Tibet, torna in auge la propaganda maoista
Pechino invia nella regione un milione di bandiere cinesi, i ritratti dei leader al potere e circa 20mila funzionari di etnia han con lo scopo di “insegnare ai villaggi tibetani l’amore per la madrepatria”. I monasteri sfidano l’ordine e non espongono le insegne cinesi.
Dharamsala (AsiaNews) - Per festeggiare il Nuovo anno lunare, Pechino ha inviato in Tibet circa un milione di bandiere cinesi e decine di migliaia di ritratti dei leader del Partito, con l’obbligo di esporle nei templi buddisti, nelle scuole e nei luoghi di riunione della popolazione. Inoltre, denuncia il Phayul, sta per iniziare il nuovo esodo forzato di 20mila cinesi di etnia han nell’altopiano: devono “insegnare ai tibetani l’amore per la patria”.

Dopo le 16 auto-immolazioni di monaci buddisti e le diverse manifestazioni soffocate nel sangue, il governo centrale cinese sembra aver deciso di provare la strada della propaganda di stampo maoista. Alcuni analisti avevano riposto delle speranze nel nuovo segretario comunista della zona, Chen Quanguo, ma l’invio di questo materiale dimostra che la politica dei “9 obblighi” rimane in vigore.

Questa politica consiste in una lista di oggetti che tutti i luoghi di culto e di istruzione devono esporre all’ingresso: fra questi ci sono appunto la bandiera, i ritratti dei leader e una copia del Quotidiano del Popolo. Secondo i tibetani, però, si tratta di una violazione della propria identità e di un’offesa alla loro religione: molti, dicono alcune fonti, sfidano il governo e non espongono questi oggetti.

La cosa che preoccupa di più, però, è l’invio di 20mila dirigenti comunisti di etnia han nei villaggi tibetani. Secondo gli ordini di Pechino, questi rimarranno nella zona almeno un anno per “insegnare l’amore per la patria” e “ricondurre al giudizio la mente dei tibetani”.