Paul Bhatti: Nel nome di Shahbaz, il risveglio sociale delle minoranze
di Dario Salvi
A un anno dall’assassinio del ministro per le Minoranze, il fratello Paul racconta l’eredità raccolta e il lavoro a favore dei cristiani pakistani. Fra gli obiettivi la nascita di università e istituti professionali che porteranno il suo nome. Il 2 marzo messe e veglie di preghiera in tutto il Pakistan.

Roma (AsiaNews) - Minoranze religiose e comunità perseguitate vedevano in Shahbaz Bhatti "un leader pronto a proteggerle" e un politico "coraggioso e determinato", che trovava "nella fede cristiana" la risorsa per affrontare tutte le sfide. È il ricordo di Paul Bhatti, fratello del ministro cattolico per le Minoranze religiose, assassinato il 2 marzo 2011 a Islamabad da un commando estremista. A un anno dalla morte, AsiaNews ha intervistato il fratello che ha raccolto idealmente l'eredità politica e spirituale di Shahbaz. "Sto cercando di riempire un vuoto" racconta Paul, attuale Consigliere speciale del Primo Ministro Gilani per le Minoranze religiose; un compito che ha vissuto all'inizio "con preoccupazione", alla quale è subentrata nel tempo maggiore "consapevolezza" e determinazione. Il Pakistan nelle sue diverse anime - cristiani, musulmani, indù, etc - si prepara a onorare la memoria di Shahbaz con messe, fiaccolate, veglie di preghiera in programma il 2 marzo e un grande incontro politico e interreligioso il 6 marzo, nella capitale.
Ecco, di seguito, l'intervista di Paul Bhatti (nella foto con Benedetto XVI e l'imam di Lahore) ad AsiaNews:

Paul Bhatti, qual è l'eredità lasciata da Shahbaz?
Mio fratello ha lasciato un grande vuoto che sto cercando di riempire. Il popolo avverte la sensazione che manca un leader, una persona in grado di proteggerlo. Con lui le minoranze sapevano che, in caso di discriminazioni e ingiustizie, era pronto a tutelarle muovendosi sia a livello nazionale che internazionale. Era una grande presenza, un sostegno forte. Con la sua morte la comunità si è sentita abbandonata, priva di una guida. Abbiamo cercato di raccogliere il testimone di Shahbaz e continuarne la missione. Personalmente, lo faccio volentieri: all'inizio ero poco convinto e molto preoccupato. Adesso le preoccupazioni si affievoliscono e cresce la consapevolezza dell'importanza di questa vocazione. 

A un anno di distanza è ancora viva la sua memoria?
Sì e lo avverto a tutti i livelli: politico, sociale, istituzionale. Aveva una personalità particolare, era molto popolare non solo fra i cristiani, ma anche fra musulmani e indù. Ovunque vado, la gente lo ricorda con affetto e testimonia la sua mancanza, parlando di una figura degna di 'onore e rispetto'. Per questo abbiamo organizzato una serie di eventi per onorarne al meglio la memoria: Il 2 marzo le comunità cristiane di tutto il Pakistan celebreranno messe e preghiere nelle chiese del Paese. Inoltre, il 2 mattina nel villaggio natale di Khushpur (nel Punjab) si terrà una messa cui seguirà una preghiera, proprio sulla sua tomba. In serata, invece, saremo a Islamabad, dove è stato ucciso, per una fiaccolata e una veglia di preghiera. Sempre nella capitale, il 6 marzo prossimo, abbiamo in programma un grande convegno a cui parteciperanno il presidente Zardari, il premier Gilani, ministri di governo, diplomatici stranieri e personalità religiose di primo piano fra cristiani, musulmani, indù e altre minoranze religiose. Confermo che anche la comunità musulmana partecipa in modo attivo alle celebrazioni per Shahbaz.

Sul fronte delle indagini, invece, vi è molta confusione.
Noi siamo convinti che questo è un atto compiuto da estremisti e da organizzazioni terroriste. Shahbaz per anni stato oggetto di minacce, da parte di organizzazioni che hanno una struttura molto complessa, con killer professionisti assoldati per ammazzare. In grado anche di terrorizzare i giudici, che hanno paura di condannarli. Anche l'assassinio di Benazir Bhutto è tuttora irrisolto e non si riescono a trovare i veri colpevoli. È un discorso molto complesso. Ma noi continuiamo a lavorare per la pace in Pakistan e per la tutela degli oppressi.

Che ricordo ha di suo fratello?
Ricordo sempre la sua serenità e tolleranza, anche dopo aver subito moltissime delusioni e discriminazioni. Il suo coraggio e la determinazione, la voglia infaticabile di lavorare e una energia che non si capiva da dove provenisse... Più precisamente, la fede cristiana era un motivo di forza e di aiuto nel condurre la sua missione. Aveva la capacità di convincere anche la persona più testarda. Per questo abbiamo voluto dar vita a una fondazione che porta il suo nome e continua i suoi ideali. 

La Fondazione Shahbaz Bhatti: quali gli obiettivi che la animano?
Vogliamo combattere la povertà, promuovere l'istruzione e contribuire al dialogo interreligioso. Per queste iniziative abbiamo ottenuto il sostegno di alcuni enti e associazioni: è partito il progetto che porterà alla nascita di un istituto professionale per l'apprendimento dei mestieri che avrà il suo nome, unito all'apertura di una grande università che garantirà accesso all'istruzione per molti giovani delle minoranze. Un'occasione di sviluppo e di istruzione ad alto livello.

Perché è importante l'istruzione?
Solo con l'istruzione il Paese si potrà risollevare. Questo è parte dei nostri ideali e dei nostri obiettivi. Poi stiamo cercando di avviare progetti di micro-finanziamento, sullo stile del Bangladesh, perché cristiani e altre comunità possano avviare piccole attività o promuovere un lavoro autonomo.  Per questo chiediamo alla comunità internazionale di sostenere le nostre iniziative, contribuendo all'educazione e allo sviluppo, alla crescita economica, al dialogo interreligioso. Vogliamo lavorare per la dignità dell'uomo, e chiediamo l'aiuto dei cristiani nel mondo.

Infine, un pensiero ad Asia Bibi:  Shahbaz è morto da "martire" anche per averla difesa...
Siamo in attesa della sentenza di appello, che speriamo possa arrivare il più presto possibile. In passato non siamo riusciti a difenderla come avremmo voluto, per la campagna anti-Asia promossa dagli estremisti, di cui è rimasto vittima anche mio fratello. Per questo abbiamo voluto far calmare gli animi, lavorare dietro le quinte, cercando di arrivare a sentenza al momento più opportuno. Auspichiamo che venga rilasciata e vogliamo garantirle tutta la protezione del caso. Senza però grandi proclami o manifestazioni... vogliamo lavorare nel silenzio.