Parroco di Quilon: L’India non vuole punire né i marò, né l’Italia
P. Stephen Kulakkayathil smentisce l’esistenza di un clima ostile ai marò. Solo ammirazione per l’atteggiamento di “giusta difesa” tenuto dal sottosegretario agli Esteri de Mistura. Nessun legame con le imminenti elezioni suppletive. Annunciata una marcia di 200mila pescatori contro il governo indiano.

Kochi (AsiaNews) - "L'India non vuole punire nessuno senza motivo. Non abbiamo nulla contro i marò italiani, così come se fossero tedeschi, inglesi o spagnoli". Lo afferma ad AsiaNews p. Stephen Kulakkayathil, parroco di Quilon ed ex segretario generale del Kerala Region Latin Catholic Council (Krlcc), smentendo in modo categorico un possibile clima di tensione e risentimento in Kerala nei confronti dei due fucilieri del Reggimento San Marco. Il 5 marzo scorso il giudice di Kollam ha stabilito il trasferimento nel carcere di Trivandrum di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, per l'omicidio di due pescatori indiani, Jelestein e Ajai Binki. I marò si trovano in un'area diversa della prigione, conforme al loro status.

La sentenza ha scatenato una nuova ondata di polemiche. Molti in Italia associano la fermezza mostrata dalle autorità indiane a questioni di politica interna, e ne vedono la causa nelle imminenti elezioni. Il parroco di Quilon esclude però questa possibilità: "Sono elezioni suppletive. Due mesi fa è morto un ministro dello Stato e deve essere sostituito". Infatti, a differenza delle votazioni concluse in Uttar Pradesh e a Goa questa settimana, il Kerala ha eletto la nuova assemblea legislativa il 13 maggio 2011. Al voto ha vinto il Congress, anche se con un margine di soli 4 seggi in più rispetto al Partito comunista-marxista (Cpm).

"Le persone qui - ribadisce p. Stephen - vogliono capire che cosa è davvero accaduto, proprio come voi italiani. Tutti noi siamo in attesa dei risultati delle prove balistiche. E ammiriamo molto l'operato del sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura. Il suo modo di muoversi, di cercare il dialogo, e anche di difendere e confortare i due marò. È l'atteggiamento giusto. Semmai, i dubbi sono altri: perché il capitano della nave non è stato fermato?". Una domanda che, nelle ultime ore, si affaccia anche in Italia e ancora non trova una risposta.

L'altro nodo fondamentale è quello legato alla giurisdizione del caso, non ancora decisa. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare stabilisce le acque territoriali fino a 12 miglia nautiche dalla costa. Superata questa soglia, la Carta riconosce poi la cosiddetta "zona contigua": un tratto di ulteriori 12 miglia nautiche (un totale di 24), in cui lo Stato che determina la territorialità può continuare a esercitare le proprie leggi. Esiste inoltre una "zona economica esclusiva" di 200 miglia nautiche, entro la quale lo Stato costiero può esercitare il diritto di sfruttamento esclusivo delle risorse. "La legge indiana - spiega p. Stephen ad AsiaNews - garantisce ai nostri pescatori di spingersi fino a queste 200 miglia nautiche per pescare". Ecco il punto: secondo la versione dei pescatori (sostenuta dalle autorità indiane), il peschereccio si trovava entro la zona contigua, dato il diritto sancito dalla legge indiana di spingersi ben oltre quell'area.

In attesa che si faccia chiarezza, il prossimo 12 marzo le diocesi di Quilon, Kochi e Trivandrum stanno organizzando una protesta non contro il governo italiano, ma contro quello indiano, per chiedere maggiori misure di sicurezza per i pescatori. "Sarà una marcia che raccoglierà 200mila persone e arriverà davanti al segretariato (ufficio del capo del governo, ndr) di Trivandrum".

Intanto, la vita della comunità sta tornando alla normalità, anche se con lentezza. "Il piccolo di Jelestein - racconta il sacerdote - è tornato a scuola, ha gli esami tra poco. Per il resto, è passato ancora troppo poco tempo. La perdita di un marito e di un padre non sono ferite che si rimarginano in fretta". (GM)