Tibet, ancora proteste: monaco 18enne si dà fuoco per ricordare la fuga del Dalai Lama
Gepey apparteneva al monastero di Kirti, nella provincia del Sichuan. Egli si è auto-immolato in concomitanza con il 59mo anniversario della fuga del Dalai Lama dalla regione himalayana. Le autorità cinesi hanno sequestrato il cadavere e fermato la madre per interrogatori. La scorsa settimana altri sei monaci arrestati per “attività anti-cinesi”.

Dharamsala (AsiaNews/Agenzie) - Un giovane monaco tibetano si è dato fuoco per protesta contro il dominio cinese nella regione autonoma ed è morto per le gravi ferite riportate. Il fatto è avvenuto il 10 marzo scorso ad Aba, cittadina della provincia del Sichuan, in concomitanza con il 53mo anniversario della rivolta del Tibet repressa nel sangue da Pechino e conclusa con la fuga del Dalai Lama. La notizia è emersa solo oggi attraverso la rigida censura imposta dal governo cinese, grazie alla denuncia del gruppo attivista Free Tibet, con base a Londra. Intanto, la scorsa settimana la polizia cinese ha arrestato sei monaci tibetani per aver manifestato contro Pechino, distribuito volantini che inneggiano all'indipendenza e aver mostrato foto e filmati delle auto-immolazioni; uno di loro, il monaco 38enne Khedrub Dorje della contea di Ganzi, è stato "duramente picchiato" e poi "rinchiuso". 

Secondo quanto riferiscono fonti di Free Tibet, il 18enne monaco Gepey apparteneva al monastero di Kirti, località teatro di diverse proteste anti-cinesi negli ultimi anni e di molte autoimmolazioni. Egli è morto dopo essersi dato fuoco dietro a un campo militare; alcune persone della zona hanno cercato di portare via il cadavere, ma sono intervenute le forze di sicurezza cinesi che hanno sgombrato l'area e prelevato i resti del giovane.

I vertici locali del partito comunista affermano di non avere informazioni sull'incidente; dal distretto di polizia non rispondono alle chiamate, mentre al monastero di Kirti nessun monaco intende rilasciare dichiarazioni e ogni telefonata viene interrotta quando si chiede conto delle recenti immolazioni.

Le autorità cinesi ad Aba hanno negato l'autorizzazione allo svolgimento dei funerali tradizionali per il monaco Gepey, per scongiurare assembramenti e possibili nuove proteste. I funzionari della sicurezza hanno anche fermato e detenuto per due giorni la madre del ragazzo per interrogatori. La donna è stata rilasciata solo ieri, ma non ha potuto celebrare le esequie del figlio.

Gepey è il terzo tibetano a darsi fuoco questo mese nei pressi di edifici appartenenti alle autorità cinesi. Il tragico gesto del 18enne monaco è coinciso con la sanguinosa rivolta del Tibet avvenuta il 10 marzo 1959, repressa con la forza dalle truppe cinesi e conclusa con la fuga avventurosa del Dalai Lama e della leadership tibetana dalla regione Himalayana.

Solo lo scorso anno più di 24 tibetani (almeno 27 dal 2009), fra cui moltissimi giovani, hanno scelto di auto-immolarsi per manifestare contro la rigida censura e lo stretto controllo imposto da Pechino, che sorveglia anche la pratica del culto e dispone l'apertura e la chiusura dei monasteri. Il Dalai Lama ha sempre sottolineato di "non incoraggiare" queste forme estreme di protesta, ma ha elogiato il "coraggio" di quanti compiono l'estremo gesto, frutto del "genocidio culturale" che è in atto in Tibet ad opera della Cina.