La Scuola di Galata ritorna al Patriarcato. Bartolomeo I chiede il riconoscimento giuridico
di NAT da Polis
La scuola si trova nello storico quartiere di Pera (Istanbul), un tempo abitato dai cristiani della città. Il Patriarca ecumenico chiede la restituzione di tre chiese confiscate dal governo di Ataturk e ripropone la questione dello status giuridico della Chiesa ortodossa e l'uso del titolo di "Patriarca ecumenico", che il governo di Ankara proibisce.

Istanbul (AsiaNews) - La direzione generale delle Fondazioni religiose ha restituito al Patriarcato ecumenico la storica Scuola di Galata. L'edificio era stato confiscato nel 1924 dal governo laico turco. La Scuola di Galata si trova nel famoso quartiere di Pera, abitato in  passato dalla maggior parte dei cristiani di Istanbul e dall'alta borghesia turca.

Negli immediati dintorni di questa scuola si trovano tre chiese storiche - tra cui la ben nota Madonna Kafatiani - del Patriarcato ecumenico, anch' esse confiscate nel 1924  e concesse alla cosiddetta Chiesa nazionale turca. Questa Chiesa era stata creata dal regime repubblicano di Kemal Ataturk per sminuire l'importanza del Patriarcato ecumenico. A guidarla fu messo un certo papa Eftim. La Chiesa nazionale turca  non ha mai avuto seguito e si è ridotta ad un affare di famiglia del papa (padre) Eftim. Sua figlia, che gestiva queste tre chiese, è finita in carcere perché implicata nell'affare Ergenekon (la scoperta di una trama ultranazionalista fra militari e politici che preparavano un colpo di Stato - ndr).

Il Patriarca ecumenico Bartolomeo I ha intrapreso le vie legali per chiedere la restituzione delle tre chiese ingiustamente confiscate al Fanar.

Vale la pena sottolineare le importanti ed acute  dichiarazioni di  Bartolomeo pronunciate  alla restituzione della scuola di Galata: esse riguardano  il mancato riconoscimento da parte della  Turchia dello stato giuridico del  Fanar e il veto delle Autorità Turche che non permette  al Fanar di definirsi come "Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli" .

Bartolomeo ha dichiarato che di per sé questo  divieto "non costituisce un problema, in quanto tutte le  Chiese ci riconoscono come tale, e perché  si tratta di un titolo ecclesiastico e come tale  storico". Egli ha precisato che esso è "un titolo d'onore e non politico .Pertanto non ci interessa se le Autorità Turche non ci riconoscono con questo titolo. Importante è che non ci impediscano di utilizzare questo titolo, che ci è riconosciuto da tutte le altre Chiese" .

Bartolomeo ha aggiunto: "Quello che più ci sta a cuore è il  riconoscimento del nostro  stato giuridico, in questo  Paese di cui siamo suoi cittadini. Riconoscerci, insomma, come ente giuridico".

Le dichiarazioni di Bartolomeo hanno suscitato molti commenti negli ambienti diplomatici di Istanbul. "Per la prima volta - si dice -  s'è messo in chiaro che solo persone maldisposte contestano  la storicità dei titoli. La questione dà la misura del livello di cultura e di civiltà di un Paese, che implica pure il saper riconoscere lo stato giuridico di chi fa parte" .

Alcuni diplomatici hanno fatto notare che in questi tempi le autorità di Ankara mostrano un certo attivismo nell'accelerare i tempi di concessione dei diritti alle minoranze non islamiche. Ma non vi è la stessa celerità nel riconoscere i diritti di una consistente minoranza come i kurdi. Segno questo che  le nubi in Medio oriente "si stanno pericolosamente addensando".

Due giorni fa è corsa pure la notizia secondo cui il presidente Barack Obama avrebbe dichiarato che Tayyip Erdogan gli aveva annunciato il ritorno della Scuola teologica di Halki al Patriarcato. L'annuncio sarebbe avvenuto durante il vertice per la sicurezza nucleare tenutosi a Seoul.  La notizia, pur riportata sul sito del presidente, è stata smentita dalla stessa Casa Bianca con un comunicato stampa. In essa si afferma che in realtà Obama ha solo espresso una valutazione positiva del governo di Erdogan per i progressi compiuti nel campo dei diritti umani, soprattutto nei confronti delle minoranze, verso cui è stata sempre applicata una politica discriminatoria.