Nepal, i fondi dei progetti Onu per lo sviluppo finiscono nelle tasche del governo
di Kalpit Parajuli
L'Onu chiede alle autorità di promuovere commercio e libera impresa. Quasi un miliardo di euro in fondi esteri destinati all'economia del Paese spesi per pareggiare i conti del governo. Aumentano povertà e disoccupazione.

Kathmandu (AsiaNews) - A un mese dalla consegna della nuova costituzione il Nepal si trova a fronteggiare una drammatica crisi economica causata da 12 anni di guerra civile, corruzione ed eccessiva interferenza dello Stato nell'economia. E questo nonostante aiuti economici per oltre un miliardo di euro, secondo i dati del 2010.  Alla Conferenza Onu sul commercio e lo sviluppo (Unctad), tenutasi a Doha (Qatar) dal 22 al 26 aprile,  gli esperti hanno invitato le autorità nepalesi ad utilizzare gli aiuti per sviluppare l'impresa privata nel Paese e sostenere gli investimenti esteri. Secondo le statistiche dell'Organization for Economic Co-operation and Development (OECD) circa 1/3 dei fondi dovrebbe essere destinato a investimenti nel settore delle imprese, ma il governo li utilizza soprattutto per ripianare le sue spese (circa il 26% dell'intero bilancio dello Stato). Solo una piccola parte dei finanziamenti è erogata alle imprese.

Maneula Tortora, rappresentante in Nepal dell'Unctad afferma che "nessun piano o strategia può generare una reale crescita e una riduzione della povertà se ignora l'impresa e il commercio". Egli cita i dati dell'Oecd dai quali emerge che le autorità hanno utilizzato i pochi fondi destinati allo sviluppo per progetti di assistenza tecnica e studi di settore falliti dopo pochi mesi. A bloccare gli investimenti, soprattutto esteri, si aggiunge la totale assenza di infrastrutture e di reti aziendali locali e la totale assenza di incentivi per le imprese straniere.

Il Nepal ha un'economia molto localizzata e isolata rispetto agli altri Paesi in via di sviluppo. Circa il 60% della popolazione vive con 1,5 dollari al giorno. Tuttavia, la Nepal Planning Commission ribadisce da anni che  il reddito medio della popolazione è aumentato. Essi però non hanno tenuto conto del costo della vita, raddoppiato negli ultimi cinque anni. La crescita del Prodotto interno lordo dipende in gran parte dalle rimesse degli oltre 7 milioni di lavoratori migranti, che rappresentano circa il 30% del Pil.

Ma ciò ha creato enormi diseguaglianze fra le aree urbane e rurali. Un recente rapporto della Banca centrale nepalese sostiene che i soldi dei migranti, soprattutto nei villaggi, servono per coprire i debiti delle famiglie con un membro all'estero e vanno ad arricchire capi villaggio e esponenti di caste alte, che spesso vivono di usura. Essi investono il denaro nel business immobiliare o nel latifondo.

Chi non riesce a trovare lavoro in patria ne all'estero, sceglie sempre di più la drammatica strada del suicidio. I casi registrati dalle autorità sono circa 4mila all'anno, con una media di 11 morti al giorno. Il fenomeno è in costante crescita e colpisce i giovani fra i 14 e i 30 anni, soprattutto le ragazze madri.

Gli esperti delle Nazioni Unite accusano il partito maoista di aver creato questo clima, interferendo troppo spesso nell'economia. In questi anni molte aziende hanno chiuso o sono in crisi a causa delle manifestazioni dei lavoratori sostenuti dagli stessi maoisti. Gli investitori esteri non hanno nessuna garanzia e lo Stato maoista non offre alcun rimborso per le giornate di chiusura. In febbraio, gli scioperi del potente sindacato All Nepal Trade Federation (Antf), sostento dal governo, hanno costretto a una settimana di chiusura gli stabilimenti della Unilever Nepal, una delle più importanti multinazionali del mondo. L'azienda ha perso decine di migliaia di dollari al giorno e se ne andrà dal Paese in caso di nuovi scioperi.