Il Dalai Lama contro Pechino: “Un piano per uccidermi”
Il leader spirituale parla di agenti cinesi donne che avrebbero cercato di avvelenarlo. Il governo comunista smentisce: “Non avremmo aspettato tanto, se avessimo voluto farlo fuori”. Una fonte di AsiaNews: “Continuiamo a pregare per la sua lunga vita e per il successo della sua missione”.

Dharamsala (AsiaNews) - Alcune donne tibetane avrebbero cercato di avvelenare il Dalai Lama facendo finta di avvicinarsi per ottenere la sua benedizione. Lo ha denunciato lo stesso Nobel per la pace, che punta il dito contro Pechino: "Abbiamo ricevuto queste informazioni dal Tibet - ha detto al Sunday Telegraph - e sono veritiere. Alcuni agenti cinesi donna usano questo metodo, il veleno fra i capelli e sulle sciarpe, per avvelenare chi li tocca".

I suoi collaboratori non sono stati in grado di confermare la notizia, ma hanno sottolineato la necessità di rigide misure di sicurezza. Il Dalai Lama vive in esilio dal 1959 in India, a Dharamsala, protetto da uno stretto cordone di agenti: tuttavia negli ultimi anni l'aumento del numero di fedeli presenti ai suoi insegnamenti pubblici e alle sue udienze generali ha reso più difficile il compito di proteggerlo.

Da parte sua, il governo cinese questa mattina ha smentito le accuse. Un articolo non firmato apparso questa mattina sul Global Times recita: "'La Cina non vuole uccidere il Dalai Lama, se lo avesse voluto fare non avrebbe aspettato tanto. E poi non trarrebbe alcun beneficio dalla sua morte, senza contare che le autorità non hanno mai ucciso i loro oppositori politici in esilio. Al contrario, se fosse nato negli Stati Uniti, Israele, Russia o la Turchia, non avrebbe vissuto una vita stabile".

Una fonte tibetana dice ad AsiaNews: "È impossibile confermare cose di questo tipo. Dal leader buddista passano centinaia di migliaia di persone ogni mese, e non tutti sono amici. Noi continuiamo a pregare per la sua lunga vita e per il successo della sua missione spirituale e temporale".