Rivoluzione araba: contro il rischio del fallimento, modernizzare l'islam
di Bernardo Cervellera
Alla prima sessione dell'incontro di Oasis a Tunisi, è di scena la transizione del Paese, da poco libero dalla dittatura. Vi sono tendenze salafiti che vogliono imporre la sharia, ma vi sono anche contributi di partiti di sinistra e atei che - avendo partecipato alla rivoluzione - vogliono garanzie di libertà per tutti. È urgente che l'islam accolga la libertà di religione e di coscienza, per la salvaguardia anche di chi non crede. L'intervento del card. Scola. La rivoluzione tunisina non è debitrice all'occidente.

Tunisi (AsiaNews) - La rivoluzione dei gelsomini, che ha avuto in Tunisia la sua prima scintilla, rischia di "fallire". Il passo risolutivo potrebbe essere la "modernizzazione dell'islam" e "l'islamizzazione della rivoluzione": in altre parole, il futuro delle rivoluzioni arabe dipende dallo spazio che si vuole dare alla dimensione islamica, e se questa lascerà spazio alle altre minoranze religiose e perfino a chi è ateo.

Questi toni drammatici hanno caratterizzato stamane la prima sessione dell'incontro del comitato scientifico di Oasis, che quest'anno si tiene proprio a Tunisi, sul tema: "La religione in una società in transizione. La Tunisia interpella l'Occidente".

La parola "transizione" è la più adeguata per definire quanto sta succedendo in questo Paese dove, dopo la caduta del dittatore Ben Ali e le elezioni, che hanno visto la vittoria dei musulmani integristi di Ennahda e dei salafiti, si cerca ogni giorno di trovare una via comune alla libertà.

È stato il prof. Yadh Ben Achour a lanciare il grido d'allarme: "Se la Tunisia non affronta la sfida della modernità, c'è il rischio che la rivoluzione fallisca", facendo ricadere il Paese in una nuova dittatura, forse non più personale, ma ideologica e religiosa.

Ben Achour, presidente dell'Alta istanza per la realizzazione degli obbiettivi della rivoluzione, ha spiegato che nella coalizione di governo si combattono due tendenze: quella islamica radicale, che vorrebbe l'introduzione della sharia, e quella più aperta e più moderna. Nei giorni scorsi lo Stato è intervenuto a fermare la predicazione di alcuni imam radicali che volevano introdurre nei tribunali le pene islamiche (taglio della gamba, del piede, ecc...) per i delitti comuni. Allo stesso tempo, il governo non è intervenuto con forza a difendere una mostra di pitture ad opera di artisti autodefinitisi "atei", lasciando che gruppi di salafiti la attaccassero e ne bruciassero alcune, giudicate "blasfeme".

A fare da correttivo alle tendenze radicali, vi è in Tunisia una società civile molto cosciente e soprattutto i gruppi dell'opposizione di sinistra e i sindacati che, insieme con il partito Ennahda hanno fatto la rivoluzione e la resistenza verso il dittatore Ben Ali. Ben Achour ha ricordato uno sciopero della fame nel 2005, lanciato insieme, che ha portato Ennahda e la sinistra a stilare alcune dichiarazioni comuni sullo Stato; sui diritti delle donne; sulla cittadinanza. Questo ha permesso a Ennahda di virare  "verso la democrazia" e ai partiti di sinistra di accogliere le istanze dell'islam.

Questa ricchezza della società civile spiega come mai nella nuova costituzione si vuole affermare che l'islam è la religione di Stato", ma non si vuole accettare (lo ha escluso lo stesso Rachid Gannouchi, capo di Ennahda) che la sharia sia la "fonte del diritto", come invece avviene in quasi tutti i Paesi del Medio oriente.

Secondo la prof.ssa Malika Zeghal, tunisina, insegnante ad Harvard, si potrà trovare una sintesi che permetta la convivenza nel Paese. Tale ottimismo pesca nella storia del Paese, che già ai tempi di Habib Bourghiba, primo presidente della Tunisia, ci si è riferiti all'islam, ma si lasciato molto spazio alle libertà personali, garantiti da un codice di statuto personale che, ad esempio, garantiva uguali diritti a uomini e donne. La Zeghal attribuisce questa possibilità di sintesi a un "compromesso pragmatico" che nell'ora attuale diminuisce le tensioni. Ma essa sottolinea il bisogno di fondamenti più profondi.

Ben Achour ha messo in luce alcuni punti necessari e qualificanti: che l'islam difenda la libertà di religione e soprattutto la libertà di coscienza, ossia la possibilità che un cittadino possa anche non scegliere alcuna religione (ateismo) e cambiare religione. Senza di questo vi è il rischio di scivolare verso uno Stato teocratico, che decurta le libertà della persona e distrugge ed emargina anche la cultura tunisina stessa, che è ricca di poeti e filosofi, spesso critici di un islam ridotto a codice di leggi.

Gli interventi della mattina sono stati preceduti dal saluto e dall'intervento (in video) del card. Angelo Scola, presidente della Fondazione Oasis, impossibilitato a venire a Tunisi. L'arcivescovo di Milano ha sottolineato che anche l'occidente si trova a misurarsi con i fallimenti della secolarizzazione e di fronte a una rinascita del sacro e della religione, tanto da rendere necessaria una ripresa della libertà di religione, concepita come il fondamento di tutte le libertà. Per il card. Scola, lo spazio alle religioni, come fondamento della dignità dell'individuo, è un ambito di collaborazione per cristiani e musulmani.

La società moderna segnata da questa apertura all'uomo e alla religione, non coincide con l'occidente attuale. Anzi proprio questo occidente, è stato criticato da Ben Achour e da Zeghal perché ha frenato la "rivoluzione dei gelsomini", appoggiando sempre il dittatore di turno, pur beandosi di discorsi sulla "democrazia occidentale". La rivoluzione in Tunisia - ha affermato Ben Achour - non è stata influenzata dall'occidente, ma è un prodotto "locale": essa mostra che gli uomini sono stati creati per la libertà e di fronte alle dittature che umiliano l'uomo e lo corrompono, sanno sacrificarsi per questi valori. Dietro la rivoluzione tunisina - ha aggiunto Zeghal - "non c'è il complotto americano, ma solo l'impegno dei tunisini. Per questo il compromesso su tutte le tendenze presenti nella rivoluzione avrà successo perché lo vogliono i tunisini".