Riyadh (AsiaNews/Agenzie) - Le forze di sicurezza saudite hanno aperto il fuoco contro i manifestanti, scesi in piazza ieri a Qatif, nella Provincia orientale (detta anche Al-Sharqiyya) per chiedere riforme democratiche e il rilascio dei detenuti politici. A centinaia hanno preso d'assalto le strade della città, lanciando slogan e incendiando copertoni di auto. In risposta, i reparti anti-sommossa hanno usato proiettili di gomma per disperdere la folla; molti i feriti e decine gli arresti compiuti fra i dimostranti. Tra le persone fermate vi è anche Mohammed al-Shakouri, considerato un "ricercato" dal ministero degli Interni che gli dava da tempo la caccia. Nel gennaio scorso egli - assieme ad altre 22 persone - avrebbe preso parte alle manifestazioni che hanno incendiato le piazze nella Provincia orientale.
Contro i dimostranti le autorità saudite hanno emesso vari capi di accusa, fra cui possesso illegale di armi, spari in luogo pubblico e contro la polizia e, crimine più grave, di essere al servizio di "piani stranieri" per rovesciare l'ordine costituito.
I manifestanti, di contro, chiedevano il rilascio dei detenuti politici fra cui il leader religioso sciita Sheikh Nimr al-Nimr. Nei giorni scorsi si sono intensificate le proteste di piazza, che hanno visto opposte le autorità saudite e la minoranza sciita, concentrata soprattutto nella zona orientale dell'Arabia Saudita, ricchissima di petrolio e governata col pugno di ferro dalla famiglia reale saudita (sunnita wahabita).
Le proteste nella regione sono divampate nel marzo 2011, quando la rivolta popolare nel vicino Bahrain, a maggioranza sciita e guidato da una famiglia reale sunnita, è stata repressa nel sangue con l'aiuto dell'esercito saudita e di altre milizie del Golfo.
Come sottolineato da AsiaNews in un articolo dello scorso anno (cfr. AsiaNews 21/06/2011 Il deserto dell'Arabia saudita contro la primavera araba), la Primavera araba - movimento di piazza che ha cercato di cambiare il volto delle società nel Nord Africa e in Medio oriente - non ha avuto successo anche e soprattutto per mano del regno saudita, considerato la "tomba" della rivolta assieme al Qatar. Un fatto, spiega la prof. Madami al-Rasheed, del King's College di Londra, dovuto non a motivi di "integralismo religioso", quanto piuttosto per la forza di un potere politico che "sottomette" la religione al suo dominio".
Nel mondo arabo, inoltre, Riyadh e Doha sono le due principali fazioni a sostegno della guerra contro il presidente siriano Bashar al-Assad, grazie anche al sostegno - morale e materiale - ai movimenti estremisti islamici che combattono il regime alawita al potere a Damasco.