Islamisti: nessuna “simpatia” per Rimsha Masih, da giudicare “secondo la legge”
Esperto di legge islamica: sbagliato “prendere le parti” della ragazza, se colpevole deve essere punita. Vescovo di Islamabad: “preghiamo per lei e la sua famiglia”. E aggiunge: un caso “esemplare” per il governo che deve prendere “opportune misure” contro gli abusi. Timore per la sorte di 600 famiglie cristiane in fuga.

Islamabad (AsiaNews) - Nonostante l'appello degli ulema pakistani, un fronte compatto di leader religiosi ed esperti di legge islamica è concorde nel ritenere che "è sbagliato simpatizzare" con Rimsha Masih, che va giudicata secondo la legge. E nel Paese, il codice prevede per il reato di blasfemia il carcere a vita; sempre che qualche folle, o gruppi organizzati non intervengano in prima persona, uccidendo in via extra-giudiziale la persona - come più volte avvenuto in passato - a processo per aver violato la "legge nera". Maulana Najeeb, musulmano esperto di islam e Corano, afferma ad AsiaNews che saranno i giudici a decidere "se è colpevole o no", ma non bisogna "prendere le parti" della ragazzina che va giudicata "secondo la legge". 

Questa mattina il tribunale di Islamabad, dietro pressione dei leader religiosi presenti in aula, ha aggiornato al primo settembre il processo per blasfemia a carico di Rimsha Masih, la ragazzina cristiana di circa 13 anni finita in carcere per aver bruciato pagine del Corano. Il fronte islamista, attraverso il proprio legale, ha infatti presentato un rapporto che contesta i risultati della Commissione medica, che ha dichiarato minorenne e con problemi mentali - non meglio specificati - la giovane.

Per l'accusa i dottori nel loro rapporto sono stati sin troppo clementi con la bambina, mantenendo un atteggiamento di "favoritismo" nei suoi confronti. La tensione in aula era palpabile e aumentano i timori per la sicurezza di Rimsha, la cui vita appare ora sempre più in pericolo anche e soprattutto in vista dell'ultima udienza, decisiva per la scarcerazione alla scadenza dei termini di custodia cautelare.

In vista dell'udienza finale la comunità cristiana cerca di mantenere alta la speranza, anche se il quadro per la giovane si è complicato con l'obiezione opposta dall'accusa. "Preghiamo per Rimsha e la sua famiglia" afferma ad AsiaNews mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad-Rawalpindi, e "speriamo di ricevere buone notizie il primo settembre". Il prelato auspica che "questo caso serva da esempio" e che "il governo prenda le opportune misure per garantire la sicurezza delle minoranze religiose".

Intanto resta incerto il futuro delle 600 famiglie cristiane che hanno abbandonato Mehrabad G11 - sobborgo della capitale - temendo una rappresaglia della folla, aizzata dagli imam locali in cerca di vendetta come avvenuto a Gojra nel 2009 per un presunto caso di blasfemia. Al momento vi sono diversi gruppi sparsi in varie zone di Islamabad. Le autorità avevano promesso loro un riparo, cibo e garanzia di sicurezza all'indomani della fuga dalle loro abitazioni; tuttavia, non hanno ricevuto sinora nulla di concreto e, come spesso avviene, le promesse sono rimaste disattese. "Ci sentiamo abbandonati" è il loro grido disperato. (JK)