Scricchiola il legame fra l'esercito e il Partito comunista cinese
di Wang Zhicheng
Promozione per alcuni, blocchi di carriere per altri: i generali dell'esercito cinese riflettono i problemi della leadership, divisa fra conservatori e progressisti. L'esercito รจ divenuto un grande attore dell'economia, ma anche un feudo di corruzione. Una campagna per mantenere i soldati fedeli al Partito.

Pechino (AsiaNews) - Il Comitato centrale del Partito comunista cinese ha promosso due generali ad essere vice-presidenti della Commissione militare centrale (Cmc). La loro promozione manifesta ancora di più i segnali di inquietudine nell'esercito, che teme possibili riforme.

Dopo quattro giorni di raduno a porte chiuse, il Comitato centrale ha annunciato la promozione di Fan Changlong, comandante del Comando militare di Jinan, nell'est del Paese, e di Xu Qiliang, ex comandante dell'aviazione. I due saranno quasi senz'altro promossi a membri del Politburo nell'imminente Congresso del Partito che si aprirà l'8 novembre e che segnerà la fine dell'era Hu Jintao-Wen Jiabao.

Xu Qiliang è considerato vicino all'ex presidente Jiang Zemin che dopo 10 anni conserva ancora una forte influenza nel Partito e nell'economia. Fan è vicino all'attuale ministro della difesa, gen. Liang Guanglie, che dovrebbe presto dare le dimissioni.

A prima vista il rimescolamento e le promozioni sembrano delle merci di scambio che Hu Jintao sta pagando per mantenere la sua posizione di presidente della Commissione militare centrale. Curiosamente, in Cina, come già avvenuto per Jiang Zemin, il presidente e segretario del Partito che si dimette, conserva per due anni la direzione della Cmc. I maligni dicono che mantenere questa carica permette agli ex leader di fronteggiare possibili vendette di nemici interni, allo scadere del loro potente mandato.

In realtà, tutte le promozioni di questi giorni mostrano che vi sono divisioni nell'esercito, allo stesso modo in cui vi sono divisioni dentro il Partito. Qui si affrontano i "riformisti" e i "conservatori": i primi vorrebbero riforme politiche almeno all'interno del Partito e maggiore liberalizzazione nell'economia, lasciando spazio al privato e eliminando monopoli di Stato e di partito per ridurre la corruzione dei suoi membri; i secondi frenano le riforme e vogliono continuare l'andazzo attuale, incuranti dei problemi economici, ambientali e sociali prodotti, dando come unica risposta maggior forza all'esercito e riaffermando il monopolio del potere del Partito.

Anche fra i militari vi sono queste due correnti: non proprio i "riformisti", ma quelli che restano ubbidienti al Partito; i "conservatori" da parte loro vogliono conservare i privilegi acquisiti finora. Grazie al bisogno che il Partito ha dell'esercito, fin dal 1989 - data del massacro di Tiananmen -questi è divenuto un importante elemento dell'economia statale, ma anche un feudo della corruzione, grazie a monopoli e una apparente fedeltà al marxismo leninismo di Mao Zedong.

A questo proposito, il Comitato centrale ha confermato l'espulsione di Bo Xilai, ex capo del Partito a Chongqing, coinvolto in scandali sessuali e omicidi. Bo era soprattutto un tipico "principino",  figlio di un ex leader del Partito, che osannava Mao Zedong e intanto ha fatto affari miliardari. Personalità dell'esercito, come i generali Liu Yuan e Zhang Haiyang, suoi amici, non hanno ricevuto alcuna promozione.

Il timore per la spaccatura dell'esercito è forte. Per questo da mesi l'Esercito per la liberazione del popolo ha lanciato una campagna di fedeltà al partito. Ieri sul Quotidiano del popolo un articolo esaltava lo slogan: "Io comando il fucile, ma il Partito comanda me".