I nuovi timonieri, vittime e carnefici del Partito comunista cinese
di Bernardo Cervellera
Xi Jinping ha sofferto per le violenze durante la Rivoluzione culturale; Yu Zhengsheng ha visto morire sei membri della sua famiglia, ma il nuovo capo esalta con orgoglio i risultati del Partito in questi anni. Ha promesso lotta alla corruzione e al formalismo, ma pare aver dimenticato tutti i consigli per una democrazia interna, maggiore diffusione della ricchezza, sostegno al capitale privato. Ma la sua elezione รจ frutto del potere della "cricca di Shanghai", difensore degli interessi dei "principini" e dei monopoli industriali.

Roma (AsiaNews) - Emozionato, sorridente, modesto: così appare Xi Jinping, il nuovo segretario generale del Partito comunista cinese (Pcc) mentre presenta se stesso e la squadra degli altri sei membri del Comitato permanente del Politburo. Anche gli altri, Li Keqiang, Zhang Dejiang, Yu Zhengsheng, Liu Yunshan, Wang Qishan e Zhang Gaoli hanno l'aria di scolaretti dopo la recita di fine d'anno.

In realtà quanto è successo oggi nella Grande sala del popolo in piazza Tiananmen, segna un'importante transizione di leadership nella nazione più popolosa del mondo e nella seconda economia mondiale. Grazie a loro, nei prossimi 10 anni la Cina potrà - come è quasi destino - diventare la prima economia, spodestando gli Stati Uniti, o potrà sbriciolarsi in una guerra civile.

L'emozione che trapela su Xi Jinping forse deriva da questo grande compito che "la storia ha consegnato" nelle loro mani e che egli enfatizza nelle parole di "guida di tutto il partito e di tutto il popolo".

In momenti simili la retorica è di rito. Xi Jinping, dopo aver presentato la sua squadra grida che "il nostro partito è dedito a servire il popolo" e che "ha guidato il popolo a risultati riconosciuti da tutto il mondo", di cui "essere orgogliosi".

Solo pochi giorni prima egli aveva elogiato il discorso di Hu Jintao che con più realismo aveva ricordato che lo stesso Partito si era allontanato dalle masse e che a causa della corruzione dei membri e dei loro familiari rischiava "la caduta". Anche lui ricorda che "non possiamo dormire sugli allori" e che occorre affrontare "corruzione", "il divorzio dal popolo", il "formalismo e il burocraticismo", ma lo attribuisce solo ad "alcuni rappresentanti del partito".

In questo modo, attribuendo le colpe solo a "qualche rappresentante", tutto il Partito è salvo e può continuare a governare indisturbato, senza ascoltare i milioni di uomini e donne che ogni anno tentano di raggiungere Pechino per denunciare la corruzione dei loro capi locali, presentando petizioni e finendo poi nelle "prigioni nere" per alcuni mesi. Nessun sussulto nemmeno davanti alle cifre snocciolate dal governo stesso, secondo cui nel 2010 oltre 640 mila casi di corruzione sono stati denunciati, anche se a questi sono seguiti solo 24 mila processi, senza parlare delle poche condanne.

Il problema del Pcc è che di continuo si mostra come vittima delle ingiustizie che vengono perpetrate nella società e allo stesso tempo è sempre pronto a presentarsi come guaritore di tutte le ferite. Come un dio capace di risuscitare ad ogni caduta, esso rinasce con ogni nuova leadership e rivendica l'assoluta novità del suo agire.

Il discorso di Xi Jinping, così pieno di cose non dette, di menzogne, e di prosopopea titanica, fa più compassione che rabbia. Perché una delle prime vittime di questo sistema è proprio lui, che durante la Rivoluzione culturale è stato trascinato a interrompere gli studi, a zappare la terra, a vedere il padre degradato. Lo stesso si può dire di molti altri del Comitato permanente. Fra tutti vi è il capo del partito di Shanghai, Yu Zhengsheng, che una volta ha confessato che almeno sei membri della sua famiglia sono morti durante "il grande caos" della Rivoluzione culturale; con sua sorella minore che ha commesso suicidio mentre era adolescente; che sua madre, già avanguardia rivoluzionaria, è stata imprigionata per sette anni, morendo schizofrenica.

Xi Jinping, Yu Zhengsheng e gli altri sono vittime anche adesso, che devono recitare la parte della guida, mentre sono "guidati" dagli anziani del Partito e dagli interessi dei grandi gruppi dell'economia di Stato. Non è un segreto che Jiang Zemin, scaduto come presidente e segretario generale nel lontano 2002, sia stato il grande elettore di questa squadra, difendendo i diritti acquisiti di tanti "principini" e di molte aziende statali che salvano i loro bilanci con prestiti vantaggiosi dalle banche di Stato e mantenendo i monopoli su comunicazioni, energia, ecc. Proprio questa oligarchia privilegiata sta portando l'economia cinese al collasso: inefficienza, corruzione, sovrapproduzione, speculazione edilizia, debiti delle banche, inflazione.

Nei giorni precedenti al Congresso, Hu Deping, figlio del grande riformista Hu Yaobang, ha chiesto che il Partito dia maggiore attenzione ai diritti umani, una maggiore liberalizzazione dell'economia per dare fiato ai privati, l'indipendenza del potere giudiziario. Non passa mese che un qualche think tank del Partito non metta in guardia dall'essere sordi alle richieste della popolazione, a ridurre l'abisso fra ricchi e poveri, a fare riforme politiche. Ma per tutto questo occorre ridurre gli interessi dell'oligarchia e mettere in crisi il monopolio del potere del Partito.

Forse è per questo che sebbene da anni Hu Jintao chiedesse una democrazia interna, i leader della Quinta generazione sono stati ancora una volta cooptati dalle diverse fazioni e benedetti da Jiang Zemin: i loro nomi giravano da mesi, perfino da anni, nelle discussioni sottobanco.

Un fatto nuovo di questo cambio di leadership è che Xi Jinping diverrà quasi da subito anche direttore della Commissione militare centrale (Cmc). Il predecessore di Hu Jintao,  Jiang Zemin - e prima di lui Deng Xiaoping - aveva voluto mantenere per due anni la guida della Cmc. Non è chiaro se questa mossa di Hu sia forzata - segno di un ulteriore indebolimento della sua fazione - o se egli ha voluto dare un esempio a tutto il Partito ritirandosi da tutte le cariche una volta dimesso.

Quel che è certo è che da subito Xi e la sua squadra potranno contare su tutto il potere, esecutivo e militare, forse nel timore di dover affrontare nuove rivolte sociali.

Fra quelli non ammessi nella Commissione permanente vi è Wang Yang, il capo del partito del Guangdong. Egli si è fatto un nome risolvendo molte crisi e scontri fra contadini e polizia, operai e padroni, con l'arma del dialogo e della democrazia. Con lui si poteva forse sperare in una maggiore corrente di riforme. Invece, la maggior parte dei nuovi membri della Commissione è fatta da noti conservatori nel campo economico, dell'informazione, della sicurezza. Questo non fa sperare bene, né per il popolo che sarà vittima, né per i capi del Partito, vittime e carnefici nello stesso tempo.