Il vescovo sia "l'anima" della carità
Un Motu proprio di Benedetto XVI per regolare l'attività caritativa dei cattolici. In quanto di carattere ecclesiale essa deve avere tale connotazione anche in quanto alla responsabilità ultima. Al vescovo compiti di promozione e di vigilanza. Per non ridurre la carità a puro impegno sociale, senza missione e testimonianza.

Città del Vaticano (AsiaNews) - "L'intima natura della Chiesa" si esprime in un triplice compito: l'annuncio della Parola, la celebrazione dei sacramenti e il servizio della carità. Sono realtà che non possono essere separate e che in quanto servizio ecclesiale ricadono tra le responsabilità del vescovo. In estrema sintesi, si può dire che dovendo avere la carità cristiana carattere ecclesiale, deve avere tale connotazione anche in quanto alla responsabilità ultima.

E' un quadro che il Codice di diritto canonico non esplicitava e che Benedetto XVI ha regolato con la Lettera Apostolica in forma di Motu proprio "De Caritas ministranda", che entrerà in vigore il prossimo 10 dicembre. Con questo documento, in certo senso Benedetto XVI mantiene una promessa, in quanto nella Deus Caritas est, notava la carenza del Diritto canonico sulla responsabilità del vescovo anche per quanto riguarda il servizio della carità. "I Vescovi - si legge infatti al n.32 dell'enciclica - quali successori degli Apostoli portino la prima responsabilità della realizzazione» del servizio della carità".

Il fatto che il servizio della carità rientri nella "natura" della Chiesa e non possa essere separato dagli altri compiti che essa ha, porta come conseguenza che "L'attività caritativa della Chiesa, a tutti i livelli, deve evitare il rischio di dissolversi nella comune organizzazione assistenziale, divenendone una semplice variante", ma deve sempre "avere una speciale attenzione per la persona che è nel bisogno e svolgere, altresì, una preziosa funzione pedagogica nella comunità  cristiana, favorendo l'educazione alla condivisione, al rispetto e all'amore secondo la logica del Vangelo di Cristo". "Per garantire la testimonianza evangelica nel servizio della carità, il Vescovo diocesano curi che quanti operano nella pastorale caritativa della Chiesa, accanto alla dovuta competenza professionale, diano esempio di vita cristiana e testimonino una formazione del cuore che documenti una fede all'opera nella carità. A tale scopo provveda alla loro formazione anche in ambito teologico e pastorale (art. 7)".

In tale logica i quindici articoli del Motu proprio regolano allora l'azione caritativa, a partire dall'affermazione che "i fedeli hanno il diritto di associarsi e d'istituire organismi che mettano in atto specifici servizi di carità, soprattutto in favore dei poveri e dei sofferenti. (Art. 1).

Il vescovo "favorisce e sostiene iniziative ed opere di servizio al prossimo nella propria Chiesa particolare, e suscita nei fedeli il fervore della carità operosa come espressione di vita cristiana e di partecipazione alla missione della Chiesa (art. 4)". In tale ottica, egli potrà dare o meno il proprio assenso "alle iniziative di organismi cattolici da svolgere nell'ambito della sua competenza, nel rispetto della normativa canonica e dell'identità propria dei singoli organismi, ed è suo dovere di Pastore vigilare perché le attività realizzate nella propria diocesi si svolgano conformemente alla disciplina ecclesiastica, proibendole o adottando eventualmente i provvedimenti necessari se non la rispettassero". Rientra in tale ambito il dover "evitare che gli organismi di carità che gli sono soggetti siano finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della Chiesa. Parimenti, per non dare scandalo ai fedeli, il Vescovo diocesano deve evitare che organismi caritativi accettino contributi per iniziative che, nella finalità o nei mezzi per raggiungerle, non corrispondano alla dottrina della Chiesa (art. 10)". Una vigilanza che si estende al quadro della legalità, seguendo criteri di trasparenza e di corretta gestione economica.

II Motu proprio, infine, affida al Pontificio consiglio Cor Unum "il compito di promuovere l'applicazione di questa normativa e di vigilare affinché sia applicata a tutti i livelli, ferma restando la competenza del Pontificio Consiglio per i Laici sulle associazioni di fedeli e quella propria della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato e fatte salve le competenze generali degli altri Dicasteri e Organismi della Curia Romana". "In particolare, il Pontificio Consiglio Cor Unum curi che il servizio della carità delle istituzioni cattoliche in ambito internazionale si svolga sempre in comunione con le rispettive Chiese particolari". Al Pontificio Consiglio "Cor Unum" compete parimenti "l'erezione canonica di organismi di servizio di carità a livello internazionale, assumendo successivamente i compiti disciplinari e di promozione che corrispondano in diritto".