Città del Vaticano (AsiaNews) - "E' l'oblio di Dio ad immergere le società umane in una forma di relativismo, che genera ineluttabilmente la violenza", perché "quando si nega la possibilità per tutti di riferirsi ad una verità oggettiva, il dialogo viene reso impossibile e la violenza, dichiarata o nascosta, diventa la regola dei rapporti umani". Benedetto XVI ha negato in questi termini "il pregiudizio secondo cui le religioni, ed in particolare le religioni monoteiste, sarebbero intrinsecamente portatrici di violenza, soprattutto a causa della pretesa che esse avanzano dell'esistenza di una verità universale".
Occasione per l'intervento del Papa l'incontro di questa mattina con i partecipanti alla sessione plenaria della Commissione teologica internazionale, che ha centrato i suoi lavori sull'attuale Anno della fede.
La riflessione di Benedetto XVI è stata incentrata in modo particolare sul "ruolo specifico ed insostituibile che spetta al Magistero" per la riflessione sulla fede e per la vita della Chiesa, ricordando che già il Concilio ha sottolineato che "l'insieme del Popolo di Dio partecipa dell'ufficio profetico di Cristo".
E' "un dono", il sensus fidei, che "costituisce nel credente una sorta di istinto soprannaturale che ha una connaturalità vitale con lo stesso oggetto della fede. Esso è un criterio per discernere se una verità appartenga o no al deposito vivente della tradizione apostolica. Presenta anche un valore propositivo perché lo Spirito Santo non smette di parlare alle Chiese e di guidarle verso la verità tutta intera. Oggi, tuttavia, è particolarmente importante precisare i criteri che permettono di distinguere il sensus fidelium autentico dalle sue contraffazioni. In realtà, esso non è una sorta di opinione pubblica ecclesiale, e non è pensabile poterlo menzionare per contestare gli insegnamenti del Magistero, poiché il sensus fìdei non può svilupparsi autenticamente nel credente se non nella misura in cui egli partecipa pienamente alla vita della Chiesa, e ciò esige l'adesione responsabile al suo Magistero".
"Oggi, questo stesso senso soprannaturale della fede dei credenti porta a reagire con vigore anche contro il pregiudizio secondo cui le religioni, ed in particolare le religioni monoteiste, sarebbero intrinsecamente portatrici di violenza, soprattutto a causa della pretesa che esse avanzano dell'esistenza di una verità universale. Alcuni ritengono che solo il 'politeismo dei valori' garantirebbe la tolleranza e la pace civile e sarebbe conforme allo spirito di una società democratica pluralistica".
In Dio, invece, c'è "un rifiuto radicale di ogni forma di odio e violenza a favore del primato assoluto dell'agape. Se dunque nella storia vi sono state o vi sono forme di violenza operate nel nome di Dio, queste non sono da attribuire al monoteismo, ma a cause storiche, principalmente agli errori degli uomini. Piuttosto è proprio l'oblio di Dio ad immergere le società umane in una forma di relativismo, che genera ineluttabilmente la violenza. Quando si nega la possibilità per tutti di riferirsi ad una verità oggettiva, il dialogo viene reso impossibile e la violenza, dichiarata o nascosta, diventa la regola dei rapporti umani. Senza l'apertura al trascendente, che permette di trovare delle risposte agli interrogativi sul senso della vita e sulla maniera di vivere in modo morale, l'uomo diventa incapace di agire secondo giustizia e di impegnarsi per la pace".
"Se la rottura del rapporto degli uomini con Dio porta con sé uno squilibrio profondo nelle relazioni tra gli uomini stessi, la riconciliazione con Dio, operata dalla Croce di Cristo, "nostra pace" (Ef 2,14) è la sorgente fondamentale dell'unità e della fraternità".