New Delhi (AsiaNews) - Inizia oggi a New Delhi la Campagna di solidarietà per il popolo tibetano, voluta dal parlamento e dal Kashag (Gabinetto) del governo tibetano in esilio, che ha sede a Dharamsala in India. Per quattro giorni, fino al 2 febbraio, i sostenitori della causa tibetana parteciperanno a manifestazioni e incontri, nella speranza di attirare l'attenzione della comunità internazionale sulle politiche repressive attuate dalla Cina.
"Il nostro Paese - spiega ad AsiaNews Lobsang Sangay, primo ministro del governo tibetano in esilio - è un test per la comunità internazionale. I Paesi stranieri devono agire adesso e condannare quanto accade in questa terra. Le rivoluzioni in Paesi come la Siria hanno un sostegno maggiore, nonostante la loro natura violenta".
Dal 2009, quando è avvenuta la prima autoimmolazione, sono almeno 100 i tibetani che hanno scelto di darsi fuoco per protestare contro il regime cinese e per chiedere il ritorno del Dalai Lama in Tibet. Con la diffusione di questa pratica, Pechino ha rafforzato ancora di più i controlli sulla popolazione. "Noi - sottolinea Sangay - continuiamo a chiedere loro di non ricorrere a gesti così drastici. Eppure vanno avanti: questo riflette la disperazione e la determinazione del popolo tibetano".
Dalla campagna il primo ministro spera di ottenere un sostegno maggiore anche da parte dell'India. "I rappresentanti indiani - nota - dovrebbero parlare più spesso e nel modo più diretto possibile della questione tibetana".
In questi ultimi giorni New Delhi è tornata nel mirino di Pechino, che da tempo spera di portare dalla sua parte il vicino di casa, che dà ospitalità al Dalai Lama e al governo tibetano in esilio. Come riporta l'agenzia ufficiale Xinhua, una corte cinese avrebbe tentato - senza successo - di stabilire una "connessione indiana" a più di 80 autoimmolazioni compiute da monaci e laici tibetani. Secondo la Cina, alcuni "provocatori indiani" legati al Dalai Lama avrebbero inviato soldi e dato sostegno morale per incoraggiare i suicidi dei tibetani.