Yangon (AsiaNews/Agenzie) - Il governo birmano formerà una Commissione direttiva, guidata dall'ufficio del presidente Thein Sein, che dovrà "concedere la libertà ai prigionieri politici" presenti ancora oggi nelle carceri del Paese. La notizia, rilanciata ieri dal quotidiano ufficiale The New Light of Myanmar, rappresenta per le autorità la prima "ammissione pubblica" che vi sono persone rinchiuse in galera per le loro idee politiche, per l'attivismo sociale, per la lotta ai diritti in una nazione guidata per decenni da una giunta militare che ha mantenuto il potere col pugno di ferro. Al neonato comitato verrà affidato quindi il compito di valutare gli ultimi casi rimasti e restituire loro libertà di parola e movimento.
Secondo quanto riferisce il giornale, la commissione sarà chiamata a "concedere la libertà ai restanti prigionieri politici" e sarà guidata da Seo Thein, consigliere del presidente. Essa dovrà anche spiegare cosa si intende per "prigioniero di coscienza", tra quanti si trovano nelle carceri birmane, e garantirne la liberazione. Trai suoi membri vi saranno rappresentanti dell'esecutivo, gruppi provenienti dalla società civile e membri di partiti politici.
Dal suo insediamento nel marzo 2011, il capo di Stato ha rilasciato centinaia di detenuti per reati di coscienza, nel più ampio contesto di riforme politico-istituzionali avviato nel Paese. Tuttavia, la leadership birmana non ha mai ammesso la presenza di detenuti "politici o per reati di opinione" in Myanmar; di fatto, questa è la prima, storica ammissione.
Bo Kyi, leader della Assistance Association for Political Prisoners (Aapp), ente con base in Thailandia, accoglie con favore la decisione di Naypyidaw e plaude al riconoscimento del concetto di "prigioniero politico", Egli avverte però che il significato potrebbe essere diverso rispetto a quello usato dalla società civile. "Vi sono ancora 380 detenuti politici nella nostra lista" aggiunge l'attivista, e nel novero vi sono anche le persone arrestate nello Stato settentrionale Kachin, per i loro legami con le milizie etniche ribelli da mesi impegnate in un conflitto sanguinario con l'esercito birmano.
Nel novembre 2010 le prime elezioni politiche in due decenni hanno segnato il primo, flebile cambiamento nel solco di una maggiore democratizzazione del Myanmar. All'indomani del voto, la giunta ha disposto la liberazione di Aung San Suu Kyi per la scadenza dei termini degli arresti domiciliari. Nei mesi successivi è avvenuto il passaggio dal regime militare al governo civile guidato dal presidente "riformista" Thein Sein, ed eletto da un Parlamento in cui l'esercito resta pur sempre il padrone assoluto (il 25% dei seggi sono riservati ai vertici militari).
Le elezioni suppletive dell'aprile 2012 hanno segnato l'ingresso nell'Assemblea della leader dell'opposizione, insieme ad altri 42 esponenti della Lega nazionale per la democrazia (Nld); intanto l'esecutivo, su indicazione del capo di Stato, ha più volte concesso la grazia o provvedimenti di amnistia a centinaia di prigionieri politici, mostrando di voler proseguire un tentativo di cambiamento della nazione nel solco democratico. Una scelta che ha spinto Stati Uniti e Unione europea a rimuovere gran parte delle sanzioni economiche e commerciali al Myanmar, in vigore da decenni.