Xinjiang, carcere duro per 20 uighuri “avvelenati dalla religione”
Il governo centrale sceglie il pugno duro anche nella provincia settentrionale, patria della minoranza turcofona e di fede islamica, e condanna degli “attivisti” che secondo i giudici sono “pronti alla guerra santa”. La diaspora: “Non è vero, la loro colpa è parlare di libertà”.

Pechino (AsiaNews) - Non si ferma la repressione "a tutto campo" del governo cinese contro le minoranze etniche. Nonostante il massacro continuo che avviene in Tibet, infatti, Pechino ha scelto di usare il pugno duro anche nel Xinjiang, provincia settentrionale patria dell'etnia uighura. Due tribunali cinesi hanno infatti condannato 20 esponenti della minoranza etnica degli uighuri a pesanti pene detentive (fino all'ergastolo) con l'accusa di essere "avvelenati dall'estremismo religioso".

I tribunali di Kashgar e di Bayingol, dice un comunicato ufficiale del governo provinciale, hanno emesso le sentenze dato che "non c'è alcun dubbio che i condannati hanno le menti avvelenate dall'estremismo religioso e che sono pronti a scatenare la guerra santa nella regione". Quella uighura è una minoranza turcofona di religione islamica. Dalla fine della II Guerra mondiale fino agli anni Novanta del secolo scorso hanno cercato di ottenere l'indipendenza dalla Cina. Oggi chiedono autonomia religiosa e culturale.

Secondo la diaspora uighura, per la maggior parte radunata in Germania sotto la guida di Rebiya Kadeer, il governo di Pechino "esagera ad arte la minaccia dell' estremismo religioso per giustificare la repressione contro la minoranza". Dilxay Raxit, portavoce del Congresso mondiale degli uighuri, sostiene che i condannati sono in realtà "responsabili di aver ascoltato l'emittente americana Radio Free Asia e di aver discusso su Internet di libertà culturale e religiosa". Il Xinjiang è ricco di materie prime e si trova in una posizione strategica ai confini con Afghanistan, Pakistan, India e con le repubbliche dell'Asia centrale.