Missionario Pime: Chiesa vicina ai musulmani di Sulu, serve una “linea comune” fra sultani
Per p. Sebastiano D’Ambra l’incontro fra il presidente dei vescovi filippini e il “sultano” Kiram è “un buon passo”, ma serve maggiore unità fra i leader di Sulu, che devono parlare con “un’unica voce”. Il Vaticano può esercitare un’azione diplomatica alle Nazioni Unite, per una soluzione pacifica e il sostegno alle vittime delle violenze.

Manila (AsiaNews) - L'incontro fra il presidente dei vescovi filippini Jose Palma e il "sultano" di Sulu Jamalul Kiram III è "un buon passo" e "un segno di solidarietà" della Chiesa, ma egli "non rappresenta la voce ufficiale di tutti i sultani" che devono invece trovare una "linea comune". È quanto sottolinea ad AsiaNews p. Sebastiano D'Ambra, missionario del Pontificio istituto missioni estere (Pime) a Zamboanga (Mindanao) e fondatore di Silsillah, movimento per il dialogo islamo-cristiano. Il sacerdote spiega che la famiglia facente capo a Kiram III "ha promosso diversi tentativi, ma non siamo al cospetto del 'sultano' ufficiale, perché fra loro sono divisi e ognuno cerca di fare il proprio passo". Tuttavia, aggiunge, è un'iniziativa valida "nel solco degli sforzi diplomatici" in campo per dirimere in modo pacifico la vicenda.

Il primo aprile il "sultano" di Sulu Jamalul Kiram III ha incontrato l'arcivescovo di Cebu e presidente della Conferenza episcopale filippina (Cbcp), per discutere delle violazioni ai diritti umani ai danni dei musulmani filippini a Sabah. Il prelato ha assicurato che parlerà della questione nei prossimi giorni, in occasione di una visita in Vaticano; la Santa Sede, ha aggiunto, potrebbe sollevare in un futuro prossimo il problema umanitario alle Nazioni Unite.

Nelle scorse settimane la provincia del Borneo malaysiano è stata teatro di scontri fra esercito di Kuala Lumpur e miliziani islamici "dell'esercito reale di Sulu". Il bilancio ufficiale è di 80 vittime fra i filippini e nove poliziotti malaysiani uccisi. In seguito alla crisi, divampata nel febbraio scorso, almeno 5mila lavoratori emigranti filippini da tempo nell'area sono rientrati in patria, denunciando casi di abusi e violazioni ai diritti umani.

Per p. D'Ambra è importante che "la Chiesa mostri attenzione" alla vicenda, anche se "il Vaticano non potrà fare più di tanto, se non sottoporla all'assemblea Onu" e sottolineare il valore assoluto della tutela dei diritti umani. "[La Santa Sede] non ha potere sul campo - aggiunge - ma continua ad esercitare un alto valore simbolico e persuasivo". Tuttavia, il sacerdote del Pime conferma che sarà necessaria "innanzitutto l'unità" fra i vari leader musulmani di Sulu, i quali saranno chiamati a difendere e tutelare i loro diritti "con un'unica voce".  

La controversia fra Malaysia e discendenti del sultanato di Jolo e Sulu, antico proprietario del Sabah, dura da secoli. L'area era stata donata ai sultani di Jolo e Sulu dai signori locali per averli difesi nel XVIII secolo dalla colonizzazione degli europei. Nel 1878 i sultani di Jolo la cedono in affitto - dietro compenso in denaro - a un consorzio britannico. Dopo la Seconda guerra mondiale e la fine del colonialismo, la Malaysia ne entra ufficialmente in possesso e dal 1963 ne assume il controllo. Da allora il clan dei Kiram, discendenti dei sultani di Jolo, ha sempre rivendicato la zona. I recenti accordi fra Moro Islamic Liberaton Front (Milf) e governo filippino hanno fornito un nuovo pretesto ai musulmani di Sulu per reclamare il Sabah, mettendo a rischio il futuro dei negoziati che ora si muovono con estrema lentezza e cautela, proprio per evitare uno scontro diplomatico con la Malaysia, grande sponsorizzatrice del dialogo fra ribelli islamici e governo filippino.(DS)