Yangon, monaci e cittadini in piazza in difesa del buddismo. Attivista: Temiamo nuove violenze
di Francis Khoo Thwe
Ieri centinaia di persone hanno manifestato contro la rivista Time, che ha parlato di “terrore di matrice buddista” per descrivere gli scontri dell'ultimo mese nel Paese. Tint Swe ad AsiaNews: "Deplorevoli gli attacchi contro i musulmani. Le tensioni hanno causato morti inaccettabili e una visione negativa del Myanmar e della religione".

Yangon (AsiaNews) - Le violenze interconfessionali in Myanmar rappresentano un pericolo concreto sul cammino delle riforme; le contrapposizioni, alimentate da racconti e articoli di stampa rischiano di esacerbare ancor più gli animi e acuire lo scontro. È quanto sottolinea ad AsiaNews Tint Swe, presidente del Burma Center Delhi in India, già rappresentante all'estero della Lega nazionale per la democrazia (Nld), esule e attivista birmano di primo piano. Ieri, intanto, centinaia di persone fra monaci buddisti e semplici cittadini hanno manifestato per le vie di Yangon contro il reportage della rivista americana Time che parla in modo aperto di "terrore di matrice buddista". I dimostranti accusano la rivista di aver screditato il buddismo nazionalista birmano e chiedono la messa all'indice dell'articolo incriminato.

Da tempo il Myanmar è attraversato da violenti conflitti etnico-religiosi, che vedono contrapposte la maggioranza buddista e la minoranza musulmana. In particolare, nello Stato occidentale di Rakhine, al confine col Bangladesh, si assiste a una vera e propria repressione dei musulmani Rohingya, accusati di essere immigrati irregolari. Scontri, assalti, attacchi mirati o singoli focolai di tensione, divampati nel giugno 2012 in seguito all'uccisione di una donna buddista, hanno causato ad oggi centinaia di morti e migliaia di sfollati nell'inerzia - se non connivenza - di istituzioni e polizia.

A fomentare tensioni e divisioni, anche la recente proposta di un gruppo di monaci buddisti che intende proibire i matrimoni misti. Nel frattempo, alcuni reportage di giornali stranieri molto critici verso una parte del buddismo hanno scatenato la reazione di buona parte della popolazione civile, che difende l'operato dei religiosi. Per questo la leadership cattolica birmana - Conferenza dei vescovi e mons. Charles Bo - è intervenuta con forza per una risoluzione pacifica della controversia e la richiesta di "iniziativa politica" per dirimere gli scontri.

Interpellato da AsiaNews Tint Swe sottolinea che sui media birmani e stranieri si è scatenata una "vivace discussione" attorno al reportage della rivista statunitense e al ruolo del buddismo birmano. Un confronto che ha invaso i social network, dove la contrapposizione si è acuita e radicalizzata. Da un lato vi è la necessità "di una maggiore libertà di stampa", spiega l'attivista, che si contrappone alla difesa dei monaci e della religione più importante del Paese. "Fra la popolazione civile - continua il presidente del Burma Center Delhi - la vera domanda è se il monaco oggetto del reportage (U Wirathu, ndr) è un eroe o un delinquente". La maggioranza ritiene che si tratta di "offesa alla religione", ma vi è anche una parte che "non è contraria all'articolo".

Per Tint Swe è "deplorevole" che "i musulmani birmani, che hanno vissuto per secoli in modo pacifico, siano costretti a tacere". Dall'altro lato, molti birmani ritengono che la natura "pacifica" del buddismo sia stata sfruttata per interessi e denaro e "autonomia e libertà religiosa" sono minacciate. Il risultato di queste tensioni è un numero di "morti inaccettabili" fra i non buddisti, una visione "negativa" del Myanmar all'estero e una "religione violenta".