Papa: a Lampedusa, chiediamo perdono per l'indifferenza verso chi soffre, per chi crea situazioni all'origine dei drammi dell'emigrazione
Messa "penitenziale" accanto al "cimitero delle barche". Gli emigranti morti in mare, "una spina nel cuore che porta sofferenza". "Chi è responsabile di questo sangue?". La "globalizzazione dell'indifferenza, che ci ha tolto la capacità di piangere". Il grazie agli abitanti: "il Signore vi benedica e vi aiuti a proseguire in questo atteggiamento tanto umano quanto cristiano".

Lampedusa (AsiaNews) - La liturgia, dice il Papa, è "di penitenza". "Signore, ti chiediamo perdono per l'indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo perdono per chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere che porta all'anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi". Accanto al campo sportivo di Lampedusa, dove Francesco celebra messa, c'è il "cimitero delle barche", che raccoglie le centinaia di natanti che hanno portato qui, negli anni, decine e decine di migliaia di persone in fuga da guerre, fame e oppressione.

Non ci sono le altre barche, le tante affondate durante i "viaggi della speranza", insieme a forse 20mila persone. A loro Francesco, figlio di emigrati, arrivato a Lampedusa stamattina per il suo primo viaggio, ha dedicato il suo primo gesto: una corono di fiori in mare e la prima preghiera. La visita è per  coloro che hanno sfidato il mare e a coloro che li hanno accolti. Il pastorale del Papa è fatto col legno delle barche, così come il calice che adopera durante il rito. L'altare stesso è fatto sopra una barca e davanti all'ambone c'è un timone.

Per la messa il Papa indossa la stola viola, quella delle celebrazioni penitenziali e dei funerali. "Immigrati morti in mare - sono le prime parole dell'omelia del Papa - da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte". "Quando - aggiunge - alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Prima però vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà!". "Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l'augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie". "A voi O' Scià". La folla applaude la parola del dialetto che gli isolani adoperano come saluto.

Nel campo sportivo ci sono forse 10mila persone su un'isola che ha 6mila abitanti. Tanti sono venuti anche da fuori. Ci sono anche gli immigrati. Arrivando, il Papa compie un lungo giro tra una folla festante. C'è grande entusiasmo. Francesco saluta, accarezza e bacia bambini, stringe mani. "Sei uno di noi", è scritto su tanti striscioni.  

Francesco, commenta le letture. "vorrei proporre - dice - alcune parole che soprattutto provochino la coscienza di tutti, spingano a riflettere e a cambiare concretamente certi atteggiamenti. «Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all'uomo dopo il peccato. «Dove sei?». E' un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l'armonia si rompe, l'uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l'altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l'altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov'è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello! Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! Tanti di noi, mi includo anch'io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito. «Dov'è tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po' di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, accoglienza, solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio!".

"Prima di venire qui - aggiunge - ho sentito di trafficanti che sfruttano la povertà degli altri, persone per le quali la povertà degli altri è fonte di guadagno".

"Chi - chiede - è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c'entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov'è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell'atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell'altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo 'poverino', e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l'illusione del futile, del provvisorio, che porta all'indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell'altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! Ritorna la figura dell'Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell'indifferenza ci rende tutti "innominati", responsabili senza nome e senza volto". E in un Tweet, lanciato oggi ha scritto "Preghiamo per avere un cuore che abbracci gli immigrati. Dio ci giudicherà in base a come abbiamo trattato i più bisognosi".

"«Adamo dove sei?», ha detto ancora durante la messa, «Dov'è tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all'inizio della storia dell'umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l'esperienza del piangere, del 'patire con': la globalizzazione dell'indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli... perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi... Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c'è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell'anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo. «Chi ha pianto?», chi ha pianto oggi nel mondo?".

Quasi una risposta nel "grazie" che, alla fine della messa il Papa ha rivolto agli abitanti dell'isola. "Voglio ringraziare una volta in più voi lampedusani, per l'esempio di amore, per l'esempio di carità, per l'esempio di accoglienza che ci state dando, che avete dato e che ancora ci date. Il vescovo ha detto che Lampedusa è un faro: che questo esempio sia faro in tutto il mondo, perché abbiano il coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore. Grazie per la vostra testimonianza e anche voglio ringraziare la vostra tenerezza, che ho sentito nella persona di don Stefano. Lui mi raccontava sulla nave quello che lui e il suo viceparroco fanno. Grazie a voi e grazie a lei, don Stefano". Che ascoltando si è commosso alle lacrime.

Prima di lasciare l'altare, infine, una preghiera a Maria "Stella maris", nella quale, fra l'altro, ha detto: "Protettrice dei migranti e degli itineranti assisti con cura materna gli uomini, le donne e i bambini costretti a fuggire dalle loro terre in cerca di avvenire e di speranza. L'incontro con noi e con i nostri popoli/ non si trasformi in sorgente di nuove e più pesanti schiavitù e umiliazioni". E "Rifugio dei peccatori, ottieni la conversione del cuore di quanti generano guerra, odio e povertà, sfruttano i fratelli e le loro fragilità, fanno indegno commercio della vita umana".

E proprio don Stefano Nastasi, parroco di san Gerlando, è stato destinatario dell'ultima tappa della visita papale, poi ripartito per Roma. Ancora entusiasmo e un ultimo ringraziamento agli abitanti. "Grazie per questa testimonianza, il Signore vi benedica e vi aiuti a proseguire in questo atteggiamento tanto umano quanto cristiano". (FP)