Xinjiang, ancora violenze: 15 uighuri uccisi dalla polizia per “terrorismo”
Un gruppo di nativi della provincia settentrionale si era riunito in una zona desertica nei pressi di Yilkiqi: secondo le autorità erano impegnati in attività di addestramento; altre fonti parlano di un raduno di preghiera. La zona sempre più turbolenta, si rischiano nuovi scontri.

Urumqi (AsiaNews) - La polizia della provincia settentrionale dello Xinjiang ha aperto il fuoco contro un gruppo di uighuri riuniti in una zona isolata della regione uccidendone "almeno 15", in quella che le autorità definiscono "un'azione anti-terrorismo". I corpi sarebbero stati sepolti sul luogo della sparatoria, anche se per il momento è impossibile trovare conferme di questo particolare. Lo riporta Radio Free Asia, che cita fonti locali.

Secondo queste fonti, lo scorso 20 agosto un gruppo di poliziotti della squadra anti-terrorismo della prefettura di Kashgar ha circondato "almeno 28 uighuri" che si trovavano in una zona desertica nei pressi della città di Yilkiqi. Secondo le autorità, questi erano impegnati in "attività religiose illegali e in esercitazioni terroristiche". Dopo averli intrappolati, hanno aperto il fuoco ad altezza d'uomo: nella sparatoria sarebbe morto anche un poliziotto di etnia han.

Alcuni testimoni, anonimi per motivi di sicurezza, contestano la ricostruzione ufficiale: "Si erano riuniti in una zona desertica, ma solo per pregare senza dover rendere conto ai funzionari delle loro zone. La pratica religiosa è sempre più controllata, e molti fra noi non vogliono dover riferire al governo anche di cosa parlano con Dio".

L'operazione è stata confermata dal capo della polizia municipale, Batur Osman: "Abbiamo condotto con successo un'operazione anti-terrorismo, distruggendo del tutto le cellule violente di terroristi". Tuttavia, il dirigente non ha voluto confermare il numero delle vittime: "Molti venivano da fuori e diversi non avevano documenti di identità".

La provincia del Xinjiang è una delle più turbolente di tutta la Cina: qui vive l'etnia uighura, turcofona e di religione islamica, che ha sempre cercato di ottenere l'indipendenza da Pechino. Il governo centrale, da parte sua, ha inviato nella zona centinaia di migliaia di cinesi di etnia han per cercare di renderli l'etnia dominante. Inoltre impone serie restrizioni alla libertà religiosa, alla pratica musulmana, all'insegnamento della lingua e della cultura locale.

Dal 2009 è in atto un regime speciale di controllo da parte della polizia e dell'esercito cinese, imposto da Pechino dopo gli scontri nei quali quasi 200 persone persero la vita. In seguito a quelle violenze sono state inflitte centinaia di condanne a pene detentive e decine di condanne a morte. Le autorità cinesi ritengono che i responsabili delle violenze siano estremisti musulmani, ma gli esuli sostengono che Pechino "esagera" la minaccia del terrorismo islamico per giustificare la repressione contro la popolazione uighura. Anche le ultime violenze (in ordine di tempo) sono state riportate in maniera diversa dalle autorità e dalla diaspora.