Seoul (AsiaNews) - Il Rapporto ufficiale sulla situazione dei diritti umani in Corea del Nord ha provocato le reazioni sdegnate di Pechino e Pyongyang, che rimandano al mittente le accuse di "atrocità" e "crimini contro l'umanità" e chiedono alle Nazioni Unite di "non procedere oltre" con la richiesta di deferire il regime dei Kim alla Corte penale internazionale.
Dal punto di vista formale, il governo nordcoreano non ha neanche risposto alle accuse ricordando solo di "non fare parte" degli organismi internazionali che hanno dato il via all'inchiesta (Commissione Onu per i diritti dell'uomo e Corte penale internazionale). Pyongyang ha definito la mossa "un complotto politico ordito dall'Unione Europea e dal Giappone, con la complicità ostile dell'America".
La Cina è coinvolta nelle 372 pagine del Rapporto in maniera diretta: secondo molte testimonianze, l'atteggiamento cinese e la sua politica di rimpatrio forzato degli esuli dal Nord sono una forma di "complicità" nei crimini contro l'umanità. Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha risposto che quella politica "fa parte di un trattato bilaterale" sul quale il Palazzo di vetro "non ha giurisdizione. Non possiamo in alcun modo accettare queste accuse".
Il Rapporto è stato presentato ieri a Ginevra dalla Commissione incaricata dall'Onu di indagare sulle violazioni ai diritti umani. Essa è composta dall'australiano Michael Kirby, dalla serba Sonja Biserko e dall'indonesiano Marzuki Darusman. I risultati completi del Rapporto, che sarà reso pubblico e adottato dal Consiglio per i diritti umani dell'Onu il prossimo 17 marzo, si basano sulle parole di 80 testimoni.
Questi sono stati ascoltati lo scorso anno nel corso di quattro udienze pubbliche a Seoul, Tokyo, Londra e Washington; inoltre, la Commissione ha ascoltato in via confidenziale altre 240 persone. Si tratta di esuli nordcoreani che oggi vivono nel Sud, di cui non sono state divulgate le generalità per motivi di sicurezza.
Le testimonianze sono terribili: centinaia di migliaia di persone sono morte nei campi di lavoro del regime, rinchiuse a causa di motivazioni politiche, religiose o sociali. Secondo il testo, all'interno dei gulag (che conterrebbero ancora oggi circa 300mila persone) il diritto "non esiste: i lavoratori sono costretti a vivere e morire come animali, sono sottoposti a violenze sessuali e torture, sotto una perenne coercizione psicologica".
La situazione non è nuova: in effetti dura da 61 anni, ovvero dalla divisione in due della penisola coreana al termine della Guerra di Corea. La parte Nord, sostenuta dalla Cina, è guidata da allora dalla famiglia Kim: il primo dittatore, Kim Il-sung, scelse una politica autarchica e isolazionista, distruggendo con la violenza i partiti politici e le religioni. Migliaia di religiosi cattolici furono costretti a partecipare alle "marce della morte" - chilometri a piedi per settimane intere - e decine di migliaia di buddisti vennero fucilati.
Prima di chiudere la conferenza stampa, l'ex giudice Kirby ha dichiarato: "Il mondo non può addurre l'ignoranza come scusa per aver fallito nel porre fine alle violazioni dei diritti umani in Corea del Nord. Al termine della seconda guerra mondiale molti hanno detto che se solo avessero saputo avrebbero agito. Adesso il mondo sa. Non c'è nessuna scusa".
Tuttavia, analisti ed esperti dell'area si chiedono come farà l'Onu - dal punto di vista pratico - a rendere efficaci le denunce e costringere Pyongyang a interrompere la propria politica di terrore. Una strada potrebbe essere il deferimento alla Corte penale internazionale, ma serve il voto positivo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di cui è membro permanente (con diritto di veto) anche Pechino.
Jared Genser, avvocato che patrocina le cause riguardo i diritti umani alla Corte dell'Aja ed esperto della Corea del Nord, dice: "La Commissione ha fatto un lavoro eccellente, ma è rischioso chiedere al Consiglio di Sicurezza di intervenire. Dal punto di vista legale una sua azione sarebbe giustificata e appropriata, ma di fatto farà infuriare la Cina". Yun Yeo-sang, direttore del Centro dati per i diritti in Corea del Nord, cerca comunque il lato positivo: "Il Rapporto sembra aver convinto il mondo della gravità della situazione. Ora abbiamo informazioni che prima non avevamo".