Jakarta (AsiaNews) - I vertici della diplomazia indonesiana, su richiesta del presidente Susilo Bambang Yudhoyono, hanno attivato tutti i canali disponibili per salvare la vita a Satinah Binti Djumadi, 40enne lavoratrice domestica in Arabia Saudita condannata per furto e omicidio. La donna (nella foto) è finita nel braccio della morte con l'accusa di aver ucciso il proprio datore di lavoro e di aver rubato la somma - misera - di 37 riyal (poco meno di 10 dollari). L'esecuzione della pena, per decapitazione, verrà eseguita il prossimo 3 aprile; governo e ambasciata di Jakarta a Riyadh hanno avviato i contatti per ottenere la grazia del re saudita e il perdono della famiglia della vittima, due elementi essenziali perché sia liberata.
La vicenda di Satinah ricorda da vicino il dramma di Ruyati binti Saboti Saruna, lavoratrice migrante indonesiana giustiziata nel giugno 2011 in Arabia Saudita per concorso in omicidio. La sua morte aveva scatenato feroci polemiche in patria, per l'inerzia mostrata dal presidente Yudhoyono e le modalità secondo cui è avvenuta l'esecuzione: Riyadh non ha avvertito né l'ambasciata indonesiana, né il governo di Jakarta.
Nel caso di Satinah Binti Djumadi, invece, Yudhoyono si è subito attivato per fermare il boia; una scelta dettata anche da questioni di carattere politico ed elettorale, per l'approssimarsi del voto alle parlamentari in aprile e le presidenziali a luglio. Restano ancora otto giorni e la partita si gioca attorno alla somma da devolvere a titolo di risarcimento. Pare infatti che il re saudita, dietro richiesta del presidente indonesiano, abbia già concesso la grazia. Serve però il perdono della famiglia, che in un primo momento ha chiesto almeno 41 miliardi di rupie (oltre 3,5 milioni di dollari). La cifra sarebbe poi scesa a 30 miliardi, infine a 21 (poco più di 1,8 milioni).
Finora Jakarta ha già stanziato 12,1 miliardi di rupie; intanto gruppi e associazioni hanno avviato una raccolta fondi per raggiungere la somma richiesta e salvare la vita di Satinah, originaria della reggenza di Ungaran, nello Java centrale. Attivisti pro diritti umani riferiscono che vi sono almeno 256 cittadini indonesiani, emigrati all'estero in cerca di lavoro, che si trovano al momento nel braccio della morte in attesa di essere giustiziati. "Sono in Malaysia e in Arabia Saudita" conferma Wahyu Susilo, del Centro per la cura dei migranti.
Del resto ancora oggi povertà e aspettative di un tenore di vita migliore spingono moltissime persone a cercare fortuna all'estero - sia uomini che donne - nei settori dell'edilizia o come collaboratrici domestiche. Per quanto concerne la vicenda di Satinah, inoltre, non vi è in gioco solo la vita di una donna, ma un principio di giustizia sociale e di attenzione del proprio Paese di origine verso tutti i lavoratori migranti all'esterno.
In Arabia Saudita vi sono almeno 1,2 milioni di indonesiani, il 70% dei quali impiegati come camerieri o domestiche. Movimenti internazionali contro la pena di morte affermano che, nel solo 2011, almeno 27 persone sono state decapitate in Arabia Saudita per reati di vario genere; un dato peraltro in diminuzione, se confrontato con i 67 del 2008.