Mar Cinese meridionale: Hanoi e Manila sempre più unite contro Pechino
di NH

Vietnam e Filippine potenziano la partnership strategica e la cooperazione bilaterale. L’obiettivo è rafforzare gli scambi economici e migliorare la collaborazione nell’istruzione, cultura, attività sociali, sicurezza marittima e protezione dei mari. Analisti avvertono la Cina: le mire illegali spingono le nazioni dell’area a “formare una coalizione” per “contrastarne l’egemonia”.

Hanoi (AsiaNews) - Il primo ministro vietnamita Nguyễn Tấn Dũng e il presidente filippino Benigno Aquino III rafforzano la partnership strategica e la cooperazione bilaterale, per contrastare il crescente "imperialismo" di Pechino nel mar Cinese meridionale. I vertici dei due Paesi si sono incontrati in questi giorni, in occasione del Forum Economico Mondiale per l'Asia dell'est in programma dal 21 al 22 maggio a Manila, nelle Filippine, e incentrato sul tema: "Promuovere la crescita in un progresso disomogeneo". Il premier vietnamita ha partecipato alla sessione di apertura dei lavori in qualità di ospite d'onore ed è intervenuto a una tavola rotonda dedicata all'agricoltura e alla sicurezza alimentare nei Paesi Asean (Associazione che riunisce 10 nazioni del Sud-est asiatico); egli si è inoltre trattenuto con altri leader internazionali, discutendo di affari e questioni economiche. 

Tuttavia, a tenere banco nella due giorni di incontri il rafforzamento dell'asse fra Manila e Hanoi in chiave anti-cinese, per fermare l'espansionismo di Pechino nella regione Asia-Pacifico. Ieri il premier vietnamita e il presidente filippino hanno affrontato il tema della "dichiarazione illegale di sovranità" di Pechino sui mari, basata sulla cosiddetta "lingua di bue" che comprende quasi l'85% delle acque del mar Cinese meridionale (Filippine, Malaysia, Brunei, Vietnam e Indonesia). 

L'atteggiamento aggressivo della Cina ha scatenato nei giorni scorsi una ondata di proteste in Vietnam, che ha assunto una deriva violenta con assalti e roghi. Dietro le violenze, la decisione di piazzare il Primo maggio scorso una piattaforma per l'esplorazione petrolifera, la Haiyang Shiyou 981, seguita dall'invio di 130 fra navi della marina, aerei da caccia ed elicotteri al largo della costa orientale vietnamita. Una mossa che ha esacerbato il nazionalismo di una fetta consistente della popolazione vietnamita, che ha promosso proteste di piazza con una deriva violenta caratterizzata da roghi e assalti che ha causato almeno due morti e oltre 140 feriti.

Nell'ultimo mese anche Jakarta, in un paio di occasioni, ha protestato contro la Cina per la rivendicazione avanzata dal governo di Pechino delle Natuna Islands, nel mare Orientale al largo della costa indonesiana. A più riprese Hanoi e Manila hanno denunciato l'aggressività della Cina nel corso dell'ultimo summit Asean a Naypyidaw, in Myanmar. Geoff Dyer, esperto di politica internazionale del Financial Times, sottolinea che "più la Cina rafforzerà le sue mire illegali su isole e acque", più gli altri Paesi della regione "si uniranno a formare una coalizione [...] per contrastarne l'egemonia". 

Il rafforzamento del legame Manila-Hanoi avrà risvolti anche in campo economico, con l'obiettivo di rinsaldare il patto di cooperazione sottoscritto nell'ottobre 2011 e che copre il periodo 2011-2016; il volume di affari cresce ogni anno e nel 2013 si è attestato attorno ai 2,9 miliardi di dollari. La collaborazione riguarderà anche i settori dell'istruzione, cultura, attività sociali, sicurezza marittima e protezione della sovranità dei mari. 

Da tempo Vietnam e Filippine manifestano crescente preoccupazione per "l'imperialismo" di Pechino nei mari meridionale e orientale; il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende isole contese - e  la sovranità delle Spratly e delle isole Paracel - da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia (quasi l'85% dei territori). A sostenere le rivendicazioni dei Paesi del Sud-est asiatico vi sono anche gli Stati Uniti, che a più riprese hanno giudicato "illegale" e "irrazionale" la cosiddetta "lingua di bue", usata da Pechino per marcare il territorio. L'egemonia riveste un carattere strategico per il commercio e lo sfruttamento di petrolio e gas naturale nel fondo marino, in un'area di elevato interesse per il passaggio dei due terzi dei commerci marittimi mondiali.