Alto afflusso al referendum sulla democrazia. Le parrocchie di Hong Kong impegnate nella campagna
di Paul Wang
Dopo poche ore dall'apertura, almeno 200mila hanno giĆ  votato. Il referendum ha solo un valore indicativo, ma preoccupa Pechino. La diocesi sostiene il referendum e le parrocchie offrono spazi per la raccolta dei voti. Le voci su una ripresa dei dialoghi Cina-Vaticano sono "un'esca" per allontanare la Chiesa dai movimenti democratici.

Hong Kong (AsiaNews) -  Il referendum sulle riforme democratiche lanciato dal movimento Occupy Central, è già a pieno regime. Lanciato alle 12 di oggi, dopo poche ore ha già raccolto oltre 200mila voti. Gli organizzatori pensavano che l'adesione di almeno 100mila persone sarebbe stato già un buon risultato. Intanto, per facilitare la raccolta di voti, molte parrocchie del territorio hanno messo a disposizione locali o spazi della comunità.

Il referendum chiede ai cittadini di esprimere il loro parere su quale sia il modo migliore per eleggere il prossimo capo dell'esecutivo nel 2017, se in modo diretto, con suffragio universale come richiesto dai gruppi democratici, oppure attraverso un comitato di rappresentanti, come invece avviene oggi, dove una parte di loro e nominata dall'alto (dal governo e da Pechino).

La votazione - secondo gli stessi organizzatori - ha solo valore dimostrativo, per conoscere il pensiero della popolazione.

Il referendum si doveva tenere solo per due giorni (20-22 giugno), ma  un attacco di hacker al server di Occupy Central ha reso necessario prolungare il voto fino al 29.

Per facilitare la raccolta dei voti, molte parrocchie hanno dato la loro disponibilità per ospitare in sale, parcheggi, sagrati lo stand del referendum.  In generale i cattolici di Hong Kong sono tutti entusiasti e desiderosi di esprimersi sulla democrazia. Il Kung Kaopo di oggi, il giornale cinese della diocesi, porta molti servizi e fotografie sull'avvenimento.  Il card. Joseph Zen, vescovo emerito, ha concluso oggi una  marcia di 84 km in decine di distretti di Hong Kong per spingere i cittadini a partecipare al referendum. Anche il card. John Tong, il vescovo attuale della diocesi, sostiene il diritto della popolazione ad esprimersi sulla democrazia.

Nei giorni scorsi sui giornali sono emerse voci secondo cui Pechino avrebbe desiderio di aprire dialoghi diplomatici col Vaticano. Alcuni sacerdoti di Hong Kong pensano che queste "voci" siano solo "un'esca", un modo con cui la Cina cerca di prevenire un'alleanza sempre più stretta fra i movimenti democratici e la Chiesa cattolica.

La leadership cinese vede con terrore questo gesto di democrazia non violenta, fino al parossismo. Nei giorni scorsi un ex dignitario della Cina, che ha lavorato ad Hong Kong, ha minacciato l'intervento dell'esercito cinese per evitare che le azioni di Occupy Central  portino a una "dichiarazione di indipendenza".

Pechino ha ribadito ufficialmente che ogni interpretazione della Basic Law (la costituzione di Hong Kong accettata dalla Cina) è sottomessa al suo potere.

Di per sé, la Basic Law ammette che nel territorio si possa parlare di riforme democratiche dal 2008 (nove anni dopo il ritorno di Hong Kong alla Cina).  Nonostante ciò, in passato Pechino ha deciso che ogni discussione doveva essere spostata al 2017. Ma Pechino ha problemi ancora oggi.