Seoul (AsiaNews) - Quello che poteva essere uno dei momenti più formali della visita apostolica di papa Francesco in Corea si è trasformato in un bagno di folla, il primo dall'arrivo. L'incontro con i vescovi coreani presso la sede della Conferenza episcopale (Cbck) ha dato infatti lo spunto a circa 1000 persone per radunarsi nella strada antistante l'edificio e aspettare il pontefice, muniti di cartelli e striscioni di benvenuto. Nonostante una sicurezza asfissiante, il pontefice ha risposto alla calorosa accoglienza dei fedeli scendendo dall'auto e andando a salutare di persona alcune persone vicine alle transenne.
La strada era stata bloccata sin dalle prime ore del mattino: sia il passaggio pedonale che quello automobilistico sono stati controllati per tutto il pomeriggio da soldati e da poliziotti, in divisa e in borghese. Presenti cani anti-esplosivi e radar per scandagliare le vetture. Persino la casa dei missionari Maryknoll, adiacente alla Cbck, è stata trasformata per tutto il giorno in un campo-base per i militari. All'arrivo del Papa, tuttavia, un'enorme folla di fedeli (considerate le limitate dimensioni della strada) era pronto ad accoglierli. Sugli striscioni si poteva leggere "Papa Francesco, benvenuto tra noi" e centinaia di piccoli cartelli che recitavano "Forza Papa!".
Insieme al pontefice sono arrivati presso la loro sede ufficiale anche i membri della Commissione permanente della Cbck: il presidente mons. Pietro Kang U-il, l'arcivescovo di Seoul card. Nicholas Yeom Soo-jung (insieme all'emerito, card. Nicholas Cheong Jin-suk), il vescovo di Daejeon mons. Lazzaro You Heung-sik e alcuni altri. Nel seguito papale c'erano il Segretario di Stato, card. Piero Parolin, il p. Federico Lombardi e l'arcivescovo Marini.
Prima dell'incontro con i vescovi, Francesco ha voluto salutare i 14 membri della regione coreana dei missionari Maryknoll e alcuni funzionari - laici e religiose - della Conferenza episcopale nella cappella del quarto piano. Incontrando il Superiore provinciale, p. Gerard Hammond, Francesco ha ricordato l'impegno di questi sacerdoti in Corea del Nord e quello personale di p. Hammond contro la tubercolosi nel regime dei Kim.
Il pontefice è poi salito al settimo piano dove, dopo il discorso di saluto pronunciato da mons. Kang, ha detto: "È una benedizione per me essere qui e conoscere di persona la vita dinamica della Chiesa in Corea. A voi, come Pastori, spetta il compito di custodire il gregge del Signore. Siete i custodi delle meraviglie che Egli compie nel suo popolo. Custodire è uno dei compiti specificamente affidati al Vescovo: prendersi cura del popolo di Dio. Oggi vorrei riflettere con voi come fratello nell'episcopato su due aspetti centrali di tale custodia del popolo di Dio in questo Paese: essere custodi della memoria e custodi della speranza".
Per quanto riguarda la memoria, il Papa ha voluto sottolineare di nuovo la prossima beatificazione dei 124 martiri coreani (che avverrà il 16 agosto): "La beatificazione di Paul Yun Ji-chung e dei suoi compagni è un'occasione per ringraziare il Signore che, dai semi sparsi dai martiri, ha fatto scaturire un abbondante raccolto di grazia in questa terra. Voi siete i discendenti dei martiri, eredi della loro eroica testimonianza di fede in Cristo. Siete inoltre eredi di una straordinaria tradizione che iniziò e crebbe largamente grazie alla fedeltà, alla perseveranza e al lavoro di generazioni di laici. È significativo che la storia della Chiesa in Corea abbia avuto inizio da un incontro diretto con la Parola di Dio. È stata la bellezza intrinseca e l'integrità del messaggio cristiano - il Vangelo e il suo appello alla conversione, al rinnovamento interiore e a una vita di carità - ad impressionare Yi Byeok e i nobili anziani della prima generazione; ed è a quel messaggio, alla sua purezza, che la Chiesa in Corea guarda come in uno specchio, per scoprire autenticamente sé stessa".
La Chiesa in Corea, ha aggiunto subito dopo, "è stimata per il suo ruolo nella vita spirituale e culturale della nazione e per il suo forte impulso missionario. Da terra di missione, la Corea è diventata oggi una terra di missionari; e la Chiesa universale continua a trarre beneficio dai tanti sacerdoti e religiosi che avete inviato nel mondo".
Per quanto riguarda il secondo punto, Francesco ha sottolineato che custodire la memoria "significa qualcosa di più che ricordare e fare tesoro delle grazie del passato. Significa anche trarne le risorse spirituali per affrontare con lungimiranza e determinazione le speranze, le promesse e le sfide del futuro. Come voi stessi avete notato, la vita e la missione della Chiesa in Corea non si misurano in definitiva in termini esteriori, quantitativi e istituzionali; piuttosto esse devono essere giudicate nella chiara luce del Vangelo e della sua chiamata ad una conversione alla persona di Gesù Cristo. Essere custodi della memoria significa rendersi conto che la crescita viene da Dio (cfr1 Cor 3,6) e al tempo stesso è il frutto di un paziente e perseverante lavoro, nel passato come nel presente. La nostra memoria dei martiri e delle generazioni passate di cristiani deve essere realistica, non idealizzata o 'trionfalistica'. Guardare al passato senza ascoltare la chiamata di Dio alla conversione nel presente non ci aiuterà a proseguire il cammino; al contrario frenerà o addirittura arresterà il nostro progresso spirituale".
Un altro punto importante, che sta caratterizzando sempre più il pontificato di Francesco, è la missionarietà della Chiesa. Una sfida che anche la Corea deve accettare: "Se accettiamo questa sfida, avremo bisogno di sviluppare quel 'gusto spirituale' che ci rende capaci di accogliere e di identificarci con ogni membro del Corpo di Cristo (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 268).In questo senso una particolare sollecitudine chiede di essere mostrata nelle nostre comunità nei confronti dei bambini e dei più anziani. Come possiamo essere custodi di speranza se trascuriamo la memoria, la saggezza e l'esperienza degli anziani e le aspirazioni dei giovani? A questo proposito vorrei chiedervi di prendervi cura in modo speciale dell'educazione dei giovani, sostenendo nella loro indispensabile missione non solo le università, ma anche le scuole cattoliche di ogni grado, a partire da quelle elementari, dove le giovani menti e i cuori vengono formati all'amore di Dio e della sua Chiesa, al bene, al vero e al bello, ad essere buoni cristiani e onesti cittadini".
Essere custodi di speranza, ha aggiunto, "implica anche garantire che la testimonianza profetica della Chiesa in Corea continui ad esprimersi nella sua sollecitudine per i poveri e nei suoi programmi di solidarietà, soprattutto per i rifugiati e i migranti e per coloro che vivono ai margini della società. Questa sollecitudine dovrebbe manifestarsi non solo attraverso concrete iniziative di carità - che sono tanto necessarie - ma anche nel costante lavoro di promozione a livello sociale, occupazionale ed educativo. Possiamo correre il rischio di ridurre il nostro impegno con i bisognosi alla sola dimensione assistenziale, dimenticando la necessità di ognuno di crescere come persona e di poter esprimere con dignità la propria personalità, creatività e cultura".
Ed ecco che invece "la solidarietà con i poveri va considerata come un elemento essenziale della vita cristiana; mediante la predicazione e la catechesi, fondate sul ricco patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, essa deve permeare i cuori e le menti dei fedeli e riflettersi in ogni aspetto della vita ecclesiale. L'ideale apostolico di una Chiesa dei poveri e per i poveri ha trovato espressione eloquente nelle prime comunità cristiane della vostra nazione. Auspico che questo ideale continui a modellare il cammino della Chiesa in Corea nel suo pellegrinaggio verso il futuro. Sono convinto che se il volto della Chiesa è in primo luogo il volto dell'amore, sempre più giovani saranno attratti verso il cuore di Gesù sempre infiammato di amore divino nella comunione del suo mistico Corpo".
Tuttavia, ai vescovi presenti il Papa ha voluto anche ricordare alcuni punti che - nella Chiesa coreana - sono particolarmente sentiti: "Cari fratelli, una profetica testimonianza evangelica presenta alcune sfide particolari per la Chiesa in Corea, dal momento che essa vive ed opera nel mezzo di una società prospera ma sempre più secolarizzata e materialistica. In tali circostanze gli operatori pastorali sono tentati di adottare non solo efficaci modelli di gestione, programmazione e organizzazione tratti dal mondo degli affari, ma anche uno stile di vita e una mentalità guidati più da criteri mondani di successo e persino di potere che dai criteri enunciati da Gesù nel Vangelo. Guai a noi se la Croce viene svuotata del suo potere di giudicare la saggezza di questo mondo! (cfr1 Cor1,17).Esorto voi e i vostri fratelli sacerdoti a respingere questa tentazione in tutte le sue forme. Voglia il Cielo che possiamo salvarci da quella mondanità spirituale e pastorale che soffoca lo Spirito, sostituisce la conversione con la compiacenza e finisce per dissipare ogni fervore missionario! (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 93-97)".