Washington (AsiaNews/Agenzie) - Gli Stati Uniti si aspettano che "nelle prossime ore, giorni" la Turchia decida cosa può "fare di più" contro lo Stato islamico (Isis). La dichiarazione del segretario di Stato statunitense John Kerry conferma le pressioni che Washington sta facendo su Ankara per spingere il governo turco ad agire, mentre intorno e all'interno di Kobane proseguono i combattimenti tra i curdi e gli uomini dell'Isis.
"Stanno usando scuse per non fare di più", ha detto un funzionario del Dipartimento di Stato a proposito delle discussioni tra Usa e Turchia, aggiungendo però che "il confronto con loro ha un obiettivo più vasto di Kobane e riguarda il ruolo che possono giocare nel complesso della regione".
La Turchia ha schierato uomini e mezzi corazzati lungo il confine con la Siria e a brevissima distanza dalla città assediata, ma le sue truppe restano inattive e anzi impediscono a gruppi di curdi turchi di passare il confine per andare a dare man forte ai curdi assediati. Un atteggiamento che ha provocato manifestazioni duramente represse - a oggi si contano 22 morti - in numerose città turche.
L'atteggiamento ambivalente della Turchia si fonda sulla diffidenza verso i combattenti curdi che difendono Kobane, ritenuti legati al PKK curdo, il gruppo ribelle che ha condotto una lunga e sanguinosa rivolta contro Ankara. Nei giorni scorsi, funzionari turchi hanno ribadito che considerano gruppi terroristici sia lo Stato islamico che il PKK. Il timore di fondo è che una autonomia dei curdi siriani a fianco del largamente autonomo Kurdistan iracheno rafforzi le spinte autonomistiche dei curdi turchi.
Ankara, inoltre, vuole che la coalizione contro lo Stato islamico ponga tra i suoi obiettivi anche l'allontanamento dal potere del dittatore siriano Bashar al-Assad. Significativo quanto affermato ieri dal primo ministro Ahmet Davutoglu: "quelli che sono stati in silenzio di fronte alla morte di 300mila persone negli ultimi tre anni e mezzo, ignorando l'uso di armi chimiche, di missili e bombe a botte stanno improvvisamente sforzandosi di creare una sensibilità internazionale, come se la Turchia dovesse risolvere da sé, immediatamente, il problema di Kobane".