Sacerdote indiano: In atto deriva fondamentalista, a Natale preghiere per la libertà religiosa
di Dominic Emmanuel*
Con l’ascesa al potere dei partiti e movimenti filo-indù cresce la visione estremista e nazionalista del Paese. Continuano gli attacchi contro le minoranze, in particolare quella cristiana. Dal Primo Ministro silenzi e connivenze. L’India rischia di trasformarsi in un nuovo Pakistan. Una riflessione del responsabile dell’Ufficio relazioni pubbliche dell’arcidiocesi di Delhi.

Delhi (AsiaNews) - In India è in atto una deriva fondamentalista indù, avallata dal governo e dalle più alte cariche dello Stato. Le minoranze sono sempre più oggetto di attacchi, violenze, abusi, in particolare la comunità cristiana che si appresta a vivere il Natale in un clima di paura. Necessario intervenire per ripristinare il rispetto della Costituzione e il principio della laicità dello Stato; altrimenti l'India, come il Pakistan, rischia di restare ostaggio degli estremismi.
Una riflessione di un sacerdote indiano: 

Conoscendo bene i precedenti del Sangh Parivar - sia esso il Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), il Vishwa Hindu Parishad o il Bajrang Dal - le dichiarazioni al vetriolo rilasciate dal ministro federale Sadhvi Niranjan Jyoti circa il "Ramzaadon" (i seguaci di Ram) e "Haraamzadon" (i figli illegittimi), non saranno certo le ultime pronunciate contro le minoranze. Sebbene abbia rivolto queste parole offensive durante una manifestazione elettorale, non è possibile accettare che frasi criminose di questo tipo siano servite come piatto nel menù elettorale. Esse vanno inquadrate in un contesto più ampio, formato da una mentalità che si fa sempre più orribile, frutto del retaggio della ideologia Hindutva. 

Senza dubbio la gran parte dei voti conquistati dal Bharatiya Janata Party (Bjp) alle elezioni generali del 2014 e la fame di successo nei singoli Stati hanno incoraggiato i mercanti di odio a fomentare gli attacchi contro le minoranze, in particolare contro musulmani e cristiani. Che si tratti di fare del poema religioso indiano Bhagavad Gita un testo nazionale, di lanciare accuse di finanziamento al terrorismo attraverso l'esportazione di carne, di promuovere il sanscrito quale terza lingua ufficiale, di impedire a Babbo Natale la distribuzione di cioccolatini nelle scuole, di "love jihad" o della riscrittura della storia di modo che possa glorificare solo la cultura indù, in soli sei mesi dall'ascesa al potere del Bjp sembra che non vi sia fine all'emarginazione e all'intimidazione delle minoranze in India. 

Il silenzio del Primo Ministro Narendra Modi su tutte queste questioni - proprio lui che durante la campagna elettorale ha tuonato come un leone durante i comizi, e che ha rilanciato il principio di unità e inclusione dell'India davanti a una folla immensa al Madison Square Garden di New York e a Sydney - il suo mantra "Sabkasaath, sabkavikas" è assordante. 

Di recente, quando qualcuno ha fatto notare che il Bjp è stato spinto dal Rss a favorire la propria agenda di governo su ispirazione dell'ideologia Hindutva, il ministro degli Interni Rajnath Singh ha scherzato: "Rss non è una forza esterna. Io stesso sono del Rss. Il Primo Ministro è un volontario del Rss. Tutti noi siamo (membri dell'Rss) fin dall'infanzia e lo rimarremo fino a che vivremo. E se noi stessi siamo dell'Rss, a che tipo di influenza staremmo facendo riferimento?". Ecco, qualcuno dovrebbe ricordare al signor Modi e a Singh che il giuramento che hanno fatto davanti al Rashtrapati Bhavan [la residenza ufficiale del presidente della Repubblica, ndr] è sulla Costituzione dell'India e non sul libro sacro dell'Rss. Durante il suo discorso al Parlamento, prima della cerimonia di giuramento, Modi si è rivolto all'aula definendola "il tempio della democrazia". 

Continuiamo a sentire dichiarazioni come quelle del ministro di Goa Deepak Dhavlikar secondo cui "il Primo Ministro Narendra Modi dovrebbe fare dell'India una nazione indù [Hindu rashtra] nel futuro, con il nostro pieno e incondizionato appoggio". Come se il 31% (del totale dei voti alle elezioni generali) non fosse un voto per lo sviluppo, ma per la nazionalizzazione del Paese in chiave indù. 

Queste persone sembrano essere sorde rispetto a ciò che Fali S. Nariman, un famoso giurista, ha affermato durante l'intervento in occasione del seminario annuale della Commissione nazionale per le minoranze (Ncm), quando ha ricordato: "Abbiamo ascoltato... quasi ogni giorno le invettive di uno o più individui o gruppi l'uno contro l'altro, oppure contro esponenti e cittadini appartenenti alle minoranze religiose. La critica più ricorrente è che la maggioranza di governo non ha fatto nulla per fermare questo scontro. Concordo pienamente". 

Egli ha quindi aggiunto: "Quanti promuovono discorsi che fomentano odio, devono essere processati davanti alla Commissione nazionale per le minoranze, perché quello è l'organismo che rappresenta le minoranze in India... devono finire alla sbarra e i processi devono avere una vasta eco... solo allora la fiducia delle minoranze nella Ncm sarà ripristinata". E per primo andrebbe istruito un procedimento a carico di Sadhvi Niranjan Jyoti per "vilipendio arbitrario" delle minoranze, in base alla sezione 153 (A) del Codice penale. 

La mia preoccupazione è che non solo le sortite di Sadhvi Niranjan Jyoti, ma che tutta la mentalità diffusa dei simpatizzanti Hindutva abbia come obiettivo finale la creazione della "Hindù rashtra". Per farsene una idea, basti pensare che questo obiettivo è perseguito da ideologi come Golwalkar e Savarkar, che in passato hanno esaltato Hitler per il suo "nazionalismo" e per "aver creato l'ideale di purezza della razza e della cultura ariana". 

Questo modo di pensare costituisce una minaccia per tutte le minoranze - donne, dalit, e tutte le minoranze linguistiche, culturali, religiose - perché l'obiettivo è fin troppo chiaro: eliminare chiunque sia diverso, anche se di poco. Essi credono nell'ideale di "una nazione, un popolo, una cultura". 

La minoranza cristiana è quella che deve subire la minaccia più grave perché, a differenza di sikh e musulmani, che sono concentrati in alcune zone, sono presenti in tutto il Paese. Suore e sacerdoti che lavorano nelle zone più remote temono per la loro vite e le loro istituzioni. I vertici delle scuole missionarie cristiane sono oggetto di attacchi col proposito, fra gli altri, di piazzare statue della dea Saraswati o vengono minacciati affinché non cantino inni e canzoni cristiane. Sono molti i casi di pastori picchiati per aver tenuto veglie di preghiera, anche nelle città come avvenuto a Delhi, a Greater Noida, lo scorso settembre, per non parlare di aree remote del Chhattisgarh, Rajasthan e Madhya Pradesh.

Ora anche le chiese sono sotto attacco, l'ultima delle quali la chiesa di San Sebastiano a Dilshad Garden e, lo scorso 20 dicembre, a Jasola, entrambe a Delhi. Per non parlare poi di piazze come l'Orissa. Le voci all'interno delle comunità continuano a crescere, di pari passo alla paura. Modi non è solo il Primo Ministro degli indù. Egli è il Primo Ministro dell'India. Un particolare che egli non dovrebbe scordare.

Dove ci porterà tutto questo dovrebbe essere materia di preoccupazione non solo per i cristiani, ma per tutti quelli come noi che non vogliono vedere l'India regredire e trasformarsi da democrazia laica a un novello Pakistan. Dobbiamo tutti noi lavorare assieme, per salvare la nostra patria secondo il modello multi-religioso, multi-culturale e multi-linguistico. 

* responsabile dell'Ufficio relazioni pubbliche dell'arcidiocesi di New Delhi